Poesie di Lorenzo Pataro
Lorenzo Pataro è un giovane poeta calabrese. Ha pubblicato un libro, Bruciare la sete, di cui ha mandato una cernita di testi alla nostra rivista.
Alla prima lettura, queste poesie si muovono su un terreno che mi ha riportato a un’età imprecisata, sui vent’anni: ho rivisto in questi versi una nostalgia, un dolore del ritorno, sancito da un passaggio all’età adulta. Sono poesie lievi, esili, che si leggono in un momento, liriche che a volte si perdono in alcuni tratti, mantenendo comunque presente una capacità di scrivere notevole.
Se devo attribuire una similitudine poetica, un richiamo che m’è venuto leggendolo, ho subito pensato a Neruda: lo vedo nelle immagini forti, nelle tematiche, nella carnalità della poesia. Il verso breve poi, che spesso viene tacciato di ingenuità, qua è usato con una certa dimestichezza, rifacendosi a modelli che sono certamente ben conosciuti da Pataro (penso a Sereni). Ovviamente, come in tutto, la poesia necessita di un tempo e di un luogo atti alla maturazione, perché la poesia è un percorso individuale e collettivo, un percorso necessario a molti. E nel suo esordio vedo come questo passaggio sia in atto, soprattutto in certe poesie, come Attraversarsi, che ha una liquidità, una essenzialità quasi orientale, che ti fa sentire in una forma semantica l’acqua.
Ciò detto, questa piccola estrazione scelta da me, vuole darvi un saggio di una poesia giovane, fresca, ricca di presupposti per qualcosa di notevole. E che potrebbe, se riletta da chi, come me, ha ormai trent’anni, suscitare una certa ammirazione per una lirica così intelligente, florida e ansiosa di dire, ma al contempo così giovane.
Victor A. Campagna
Queste poesie, edite in Bruciare la sete di Lorenzo Pataro (Controluna –Edizioni di poesia, 2018, con prefazione di Eleonora Rimolo) sono qui pubblicate per concessione dell’autore.
Dalla sezione “L’attesa”
L’attesa
C’è un profumo d’arancia.
E nessuno sa da dove fiorisce.
C’è una luce che piove.
E nessuno sa dove si posa.
C’è una voce che ascolta.
E nessuno sa dove tace.
C’è un amore che tace.
E nessuno sa dove ascolta.
Ci sono un profumo d’arancia
una luce
una voce
e un amore,
qui sul tavolo.
Ho apparecchiato per Te,
come tutti i giorni.
Anche se non sei ancora.
Ma ancora sei
chi aspetto tu sia.
L’incontro
Sul treno galeotto dell’alba,
una luce e una voce
ti hanno dato
la forma speculare
del mio tavolo ideale apparecchiato.
Sei arrivata
come una lama madida d’arancia
a squarciare il mio amore
gettato in un vicolo cieco.
La freccia è stata
come la carta
quando taglia le dita.
Vedi il sangue,
ma non la ferita.
Attraversarsi
Dopo la tua freccia
lascia che anch’io
ti attraversi
come un frusciante foglio di luce
sottotono e sottovoce.
Un fiume che bacia
con gli occhi chiusi
la sua foce.
Dalla sezione “L’incendio”
Scoprirsi
Apriremo le porte ai cartelli stradali
per farci dire quanti incidenti
abbiamo evitato
da ubriachi.
Suoneremo gli specchi
delle nostre bugie
per farci dire quanto ci siamo uccisi ogni giorno
mentendoci.
Guarderemo il nostro tempo sbiadito corrodersi
senza poter fare niente
e come sabbia scottarci
i piedi di plastica.
Ci dipingeremo addosso coltelli
per non farci male davvero
e nasconderemo nei palmi carezze di ferro
con cui violentarci le guance.
Baceremo le vipere più velenose
per scoprire quanto siamo più crudeli noi
che non sbuchiamo dall’Ignoto per morderci alle spalle,
ma lo facciamo tutte le notti a viso scoperto
quando ci amiamo.
La logica della quantità
Ho paura quando ti scopro bambina
con la bocca sporca di crema a ripulire
le barche sulla spiaggia
intrise di sabbia
per scovare le cifre
che mancano al tuo compimento.
Tutte le volte
come uno zero senza cifre davanti
accolgo fra le mie tremule braccia
la metafisica possibilità
che hai di riempirmi.
Un angelo senza ali dorme in quella nostra stanza vuota
in attesa di comunicarci un messaggio divino
che ci sottrae alla logica della quantità
e l’orologio tra le mani
conta i martellanti numeri restanti.
Dalla sezione “La cenere”
La cenere
Nel bianco lancinante
mutismo di quella notte
fredda come una statua funebre,
giocavamo
a consumarci la voce
a furia di urlarci con gli occhi
a squarciagola
quanti petali ci eravamo strappati.
Ora resta solo la cenere
a scaldarci.
Dalla sezione “Riiniziarsi”
Riflettersi
Il sole smorto delle sveglie
ferisce senza accecare,
pesa il collo sulla bilancia:
al mattino siamo acqua acerba
che graffia l’arsura della notte,
morbidi macigni sugli occhi
che non vogliono aprirsi.
Il sole accecante di mezzogiorno
è statua sudata in mezzo alla piazza
che feroce fame di cambiamento,
di briciole di pioggia cinerea:
al meriggio siamo pipistrelli
che volano alti nelle grotte
in cerca di piccole fontane.
Il sole inaffidabile del vespro
è bussola rotta
in balia dell’inversione polare,
gioca a nascondino
per non mostrarsi ferito e contento:
al tramonto siamo coralli spezzati
naufragati sulla spiaggia
in attesa di essere raccolti
da bambini pesce.
Siamo capillari dell’occhio
dopo lo schianto del sapone
aghi di pino
che cadono quando la palla
scuote i ramoscelli
braccia che attendono braccia
aorte senza sangue
albumi senza tuorli
pupille accecate
ventri sterili.
I nostri soli
di notte si spengono
senza darsi all’amata,
come avvoltoi senza carcasse da sventrare
si scavano la fossa
divorandosi le penne,
ma nell’istante dello spiro
un sibilo rauco di vento
santifica le membra
baciandole con cellule di luna.
Siamo soli.
Per riflettere
dobbiamo rifletterci,
bruciare la sete
per dissetare l’altro.