A Volterra per i vent’anni dello Hidden Theatre
Nella Sala Giunta del Palazzo Comunale di Volterra, si respira un’atmosfera di festa.
Ci unisce il dolore, ma anche la gioia.
Perché chi vive la guerra cerca la vita e la bellezza.
Con queste parole Annet Henneman inaugura, venerdì 23 novembre, il Festival di Teatro di Nascosto (Hidden Theatre) organizzato per celebrare vent’anni del teatro reportage fondato insieme a Gianni Calastri nel 1997.
Un teatro che, grazie a un training mentale, fisico e antropologico affiancato da un’attenta ricerca giornalistica, racconta storie di vita quotidiana raccolte nei territori di conflitto come Iraq, Iran, Palestina, Kurdistan Iracheno, Kurdistan Turco, Siria, Egitto, Libano e India.
Sabato mattina, appuntamento al Cinema Centrale per la proiezione di cortometraggi (In White di Dania Bdeir, The Blind of the Cathedral di Nadine Asmar, Five O’Clock di Ayman Alshatri, Language Viewing di Mortada Gzar) provenienti da Iraq, Siria, Libano, Palestina e selezionati da Ali Kareem, pluripremiato regista e sceneggiatore iracheno. Introdotti dall’autore, vengono proiettati anche tre lavori di Ali Kareem.
Hassan In Wonderland. In una discarica piena di autobombe, pullman distrutti, armi e uranio radioattivo, alcuni bambini giocano allegramente a fare la guerra finché uno di loro non trova un’arma vera.
crISIS. Asaad si chiude in casa col figlio dopo aver perso la moglie in un’esplosione a Baghdad. Nessuna immagine di esplosioni o morti per strada, ma solo l’intimo trauma dei sopravvissuti.
Abraham. “Perché l’ho girato? A cosa è servito? Mi fa sempre male rivederlo” – interviene Kareem, come per scusarsi del mancato lieto fine nel terzo cortometraggio: due religioni, due abusi di potere e una donna che, muta tra prigionia e peccato d’incesto, può manifestare il suo appartenere a se stessa soltanto attraverso il suicidio.
Intorno alle 16:20 raggiungo la sede di Teatro di Nascosto. Andiamo, andiamo è tardi! Dobbiamo essere bellissimi! Annet Henneman sprona i suoi attori a cominciare l’azione teatrale per le strade di Volterra: un festoso corteo nuziale come prologo di La Passerella, spettacolo che ha visto il debutto a Bassora (Iraq) lo scorso gennaio. La regista olandese riproduce la vita vera attraverso shock, contrasto e alternanza tra dramma e leggerezza. Perché in Kurdistan è normale che in una festa di matrimonio irrompano guerra, bombe e spari. Ma si va avanti.
Così, scesi nel parcheggio sotterraneo La Dogana, gli attori sfilano in abiti eleganti mostrando, al contempo, immagini che nessuno vuole vedere: fotografie che ritraggono ingiustizia, violenza, corruzione e distruzione in Iraq, Siria, Palestina e Kurdistan. Eppure, resta sempre lo spazio per intonare il canto di una terra lontana, una musica che risolleva l’immaginazione di tutti come il brano Ky Chororo di Mercedes Sosa, cantante folk argentina. Ma anche quando la tragedia ti rimane addosso, torni a respirare appena ti accorgi che, nel frattempo, una bellissima voce ti sta trasportando, sulle note di Sad Lisa di Cat Stevens, in un luogo dove puoi sentirti meglio.
Cinzia, attrice del gruppo internazionale, mi racconta di un momento durante le prove di La Passerella: ognuno doveva raccontare una favola nella propria lingua. Risa, gesti di bambini spensierati. D’improvviso Annet, bianca in volto, fa cenno di interrompere. Silenzio. Cinque, dieci minuti di spazio per mettere a fuoco la consapevolezza di un’altra storia da raccontare.
“Dovevamo riprendere, non potevamo fermarci” – mi spiega Cinzia. “Mentre stai facendo un lavoro teatrale in cui racconti storie vere, ti arriva in tempo reale la notizia di un’amica giornalista che, dopo aver rischiato più volte la vita, in quel momento l’ha persa. Ti accorgi che veramente sta succedendo una delle tragedie che stai raccontando”.
Un teatro vivo che si aggiorna continuamente. Un teatro emergenziale, agito in un continuo stato di tensione dentro il quale gli attori si esercitano a entrare e uscire dalla gioia e dal dolore sviluppando una resistenza che permette loro di continuare a raccontare. Teatro di Nascosto non promuove uno stato di emergenza ansiogena fine a se stesso, ma cammina sul trampolino dell’alta tensione per sfondare il tetto dei nostri schemi, delle nostre abitudini, delle nostre certezze. Per insegnarci a vedere gli altri.
Con la musica dal vivo di Rocco Bertino, Fidaa Ataya e Annet Henneman concludono la seconda giornata con Somud U Ahlam raccontando i sogni e la resistenza pacifica nel villaggio beduino Jabal Al Baba, in Palestina, al confine con una colonia israeliana: la tensione dei posti di blocco e la paura di vedere arrivare i soldati per rimuovere le case container. Una serie di dibattiti e testimonianze apre l’ultimo giorno di festival. Tra i temi principali, la violenza sulle donne, la base di Camp Darby (PI), il maggior deposito di armi, anche nucleari, della NATO al di fuori degli USA e la presentazione del progetto di Archigraph per la nuova sede residenziale di Teatro di Nascosto presso la vecchia stazione ferroviaria di Volterra.
Nel pomeriggio, il festival si sposta al Teatro Persio Flacco. Dawi Ya Dawi racconta storie di vita nel Kurdistan iracheno con attori (solo due su sette hanno ottenuto il visto per partecipare al festival) dal teatro stabile di Diyarbakir, ora chiuso come molte altre realtà culturali sotto il regime Erdogan. In chiusura, L’uomo piccolo piccolo di e con Gaetano D’Alessandro e Sebastiano Cappiello è una commedia dove Nord e Sud Italia dialogano confrontando dialetti e culture diverse seguito da concerti di musica italo-palestinese (Hudud), musica curda (Farqin, Azat, Mubin Dunen), The Speaking Darabouka (Zaid Ayasa) e Canzoni di amore e guerra (Nicola Pineschi).
Finiti gli appuntamenti ufficiali del festival, vengo invitata alla festa di matrimonio di Muzna e Jood, due giovani siriani sposati un anno fa a Londra.
Tra musiche e balli, i festeggiamenti si svolgono secondo lo stile arabo: gli sposi siedono su un divano rialzato in attesa che gli amici si avvicinino per porgere loro abbracci e regali. Ne ricordo uno dal forte valore simbolico. Quello di Iris Honderdos e Arno Peeters autori di Terra, film che ritrae gli attori di Teatro di Nascosto mentre giocano mostrando tra le mani la sabbia raccolta nei loro paesi di origine e spiegano cosa susciti in loro questo contatto. Recitando un modo di dire olandese, camminare è come promettere con i piedi, ballare è come pregare con le gambe, i due artisti donano agli sposi sacchetti pieni di sabbie intrise di dolore e tristezza ma anche testimonianza di bellezza e amore per le terre di origine. Queste sabbie vengono poi mischiate dagli sposi e distribuite tra i presenti come un ricordo e un balsamo per sollevare lo spirito nei momenti di sconforto.
Stordita da tante emozioni intense e contrastanti, guardo orgogliosa quello che sarà il mio personale balsamo, ovvero una foto con le firme degli attori del gruppo internazionale di Hidden Theatre. Mi allontano dalla festa a ritmo di daf, canticchiando nella mia testa due versi da Anthem di Leonard Cohen,
There is a crack in everything
That’s how the light gets in.