I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Di solito venivano subito messi a tacere, ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.
Umberto Eco
In futuro tutti avranno i loro quindici minuti di notorietà.
Andy Wharol
C’è un ragazzino con degli orecchini fatti di bulloni. Ha il volto e il corpo coperti di scritte tatuate, si cambia continuamente di abito. Tutti i suoi outfit sono improbabili e ricercatissimi: gonne tartan e impermeabili stile Matrix, uno stile volutamente eccentrico e provocatorio che vagamente ammicca al punk degli anni Settanta. Si dimena rigidamente su una base stucchevolmente semplice, suonata con quello che pare un piano giocattolo, mentre esegue una serie di vocalizzi ritmici alternati da versi brevi e senza rima. Senza raccontare una vera e propria storia, ci fa sapere che: «Alfa, alfa, alfabeto (…) fumo fumo e rido e, mmh ha ha ha lei fuma e ride (…) voglio la tipa del tipo, sì, sì l’ho già lasciata incinta».
La prima volta che ho visto e sentito Young Signorino cantare Mmh ha ha ha, mi sono venuti in mente da un lato Da da da del trio tedesco Trio, dall’altro Umberto Eco. Il primo per la struttura compositiva e stilistica del pezzo, il secondo per l’ultima famigerata polemica che lo ha riguardato: quella sui cretini del web.
Ecco un altro, mi son detto, che senza mostrare nessuna qualità artistica visibilmente particolare si pretende musicista e ha il coraggio di esporsi al pubblico senza filtri. Uno dei tanti che hanno l’arroganza di fare qualche epifania in rete, di norma pretendendosi esperti politici, allenatori della Nazionale di calcio o magari pure di curling, senza che abbiano mai aperto un libro, toccato un pallone o preso in mano uno spazzolone; quest’ultimo dal canto suo, ho concluso, appartiene alla categoria degli esibizionisti che si credono artisti.
Subito dopo averlo pensato, dato che quella querelle di Eco al tempo mi lasciò alquanto stupito (mi sembrava una polemica pretestuosa) me ne son pentito. Eco aveva mostrato in molti libri (penso a Il pendolo di Foucault o Numero zero o Il cimitero di Praga) che quelle che in altri termini potremmo chiamare informazioni non qualificate, o anche squalificanti, in passato non hanno avuto bisogno del web per propagarsi; anzi riuscivano a diffondersi benissimo anche prima. Segno che le tenebre della comunicazione di massa si allungavano già in era pre-digitale. Se ora mi trovavo di fronte a un tal Signorino delle tenebre (musicali più che morali, benché si pretenda figlio di Satana) la colpa non era certo di internet. Insomma: mi sono sentito come l’adolescente che si scopre (con orrore) un po’ vecchio dentro e barboso come i propri genitori.
Ho provato pertanto a riguardare e riascoltare Young Signorino sotto un’altra luce e con nuove orecchie, sempre però facendo appello alla lezione di Umberto Eco. In particolare a Apocalittci e integrati, un libro il cui successo editoriale venne proprio dalla capacità di mostrare come la membrana tra cultura alta e cultura bassa sia molto sottile, ma che già aveva intravisto il declino qualitativo insito nella diffusione di contenuti culturali su larga scala. Eco, in Apocalittici e integrati, mostra che l’industria musicale è, soprattutto, una grande macchina in grado di guidare e imporre dei canoni artistici, allo scopo di trasformare qualsiasi prodotto estetico in un bene di consumo di massa.
L’arte si fa consumo insomma. Purtroppo allo scopo di vendere più canzoni si corre il rischio di elaborare, sovente, motivetti stereotipati, si tende al conformismo musicale e al kitsch e, quindi, si scade nel cattivo gusto, che emerge come l’espressione visibile, da parte dell’artista, della ricerca di un effetto semplice a tutti costi.
Se guardiamo e ascoltiamo i pezzi di Young Signorino ci accorgiamo che gran parte degli elementi critici qui elencati sono ravvisabili. La pochezza della musica e l’assurdità dei testi ci fanno sospettare che l’anticonformismo di Young Signorino sia un conformismo mascherato. La sue canzoni e la sua immagine paiono troppo studiati e volutamente improntati alla sfrontatezza. Eppure dietro a Young Signorino non ci sono etichette discografiche. Il suo successo proviene dall’esposizione sul web e, sebbene si sappia che in precedenza avesse alle spalle un manager, nel suo caso siamo ancora lontani dalle grandi macchine della comunicazione e produzione di massa dei contenuti artistici.
Come mai, allora, nel vedere i suoi video musicali ci sembra di scorrere un catalogo degli stereotipi e delle leggende della storia delle rockstar? Come mai le sue canzoni inscenano molti elementi sensazionalistici che, attraversando vari generi, ci forniscono la summa dell’arte di farsi notare?
C’è l’adoratore del diavolo di Padre Satana (un classico dell’Hard Rock dai Black Sabbath agli AC-DC). C’è il punk drogato e No-Future (Dolce Droga, La danza dell’ambulanza). C’è il maestro di stile e eleganza alla David Bowie (Vestito Nudo). C’è la faccia più tenera, tenebrosa e depressa alla Cure (Coma Lover). C’è l’alone di follia alla Syd Barrett e, dulcis in fundo, il nome Young e la paternità prematura che sembrano rimandi a Lil Wayne.
Se dietro questi prodotti non ci sono esperti delle major è segno che certe regole e logiche, quelle della produzione commerciale artistica di massa, sono ormai state introiettate dal grande pubblico, specie dei giovanissimi. La citazione o la costruzione di un personaggio sono ormai nozioni di base dei saperi giovanili, tanto che si potrebbe dire che spontaneità e artificio appaiono categorie in via di superamento. Signorino è il classico soggetto costruito per far angosciare il padre con la figlia in età da fidanzato. Di quelli che fanno dire alle generazioni mature: «due sberle e in miniera!»; ma probabilmente tale personaggio Signorino se l’è costruito da solo. Si potrebbe dire che stiamo assistendo alla Morte delle Major musicali, se tali formule iperboliche non fossero continuamente smentite dalla Storia.
A onor del vero, dietro alle canzoni di Young Signorino sembra anche celarsi qualcosa di nuovo legato al genere musicale da lui praticato: il trap. Tralasciamo le note sociologiche che spiegano come la musica trap sia un genere che tratta, di norma, i temi legati alla droga e al disagio esistenziale dei Cowboy Junker e veniamo al punto. Questo genere musicale sta alla musica Hip Hop , anche se per ora solo a livello potenziale, come il punk sta al rock ‘n’ roll. In generale mi sembra che nella musica ascoltata dai giovanissimi stia accadendo infatti la stessa mutazione che è avvenuta negli anni Settanta tra Stati Uniti e Inghilterra sia con il punk sia con il rap.
È presto per parlare di una rivoluzione musicale vera e propria. Le vere rivoluzioni musicali sono sempre avvenute per due motivi: o per coalescenza, in genere di stili, grazie all’incontro tra culture musicali diverse (è il caso del jazz ad esempio) o grazie alla introduzione o perfezionamento di nuovi strumenti (si pensi se e a come avrebbero potuto cambiare il linguaggio musicale Mozart e soprattutto Beethoven senza il pianoforte).
È questo anche il caso, per tornare a espressioni musicali più vicine nel tempo, sia del rap, nell’ambito della musica afroamericana, sia del punk, nell’ambito del rock. Entrambi si sono caratterizzati come movimenti musicali tesi alla semplificazione e quindi alla democratizzazione della musica, e possono essere spiegati con la diffusione di nuovi strumenti (si pensi alle consolle dei DJ per i rapper e in generale ai sintonizzatori di musica elettronica) o con la loro maggiore accessibilità economica (chitarre e bassi elettrici). Soprattutto a fare la differenza è stata la possibilità per gli artisti di autoprodursi, grazie alla facilità di registrazione su mangianastri.
Il caso della musica trap non sembra però rientrare in nessuno di quelli elencati. Sebbene YouTube e altri dispositivi digitali ci abbiano fatto avanzare un po’ dall’epoca in cui registrare e condividere musica era semplice come registrare un’audiocassetta, la produzione di nuovi suoni non sembra abbia fatto significativi progressi. Piuttosto quel che si autoproduce oggi è la costruzione di un personaggio attraverso i video. Tuttavia alcuni elementi di novità si possono ravvisare. Specie sotto il profilo dei testi.
Il punk e il rap, infatti, pur con un loro stile semplice e immediato, hanno mantenuto il gusto per il virtuosismo. Virtuosismo, nel primo caso, legato più che altro alla velocità di esecuzione dei pezzi e alla velocità dei riff chitarristici e, nel secondo caso, come da tradizione afroamericana, nella capacità di improvvisazione (jazz) dei testi, innestata su una struttura “a chiamata” (come nel blues delle origini) nel quale un cantante risponde a un altro (magari anche solo per offenderlo). La musica trap, che fa parte del filone Hip Hop, procede ulteriormente verso la semplificazione delle strutture originarie e con l’elusione di ogni talentuosità. Non è più nemmeno necessario dimostrare di saper rimare. È sufficiente dire quel che ti passa per la testa.
Young Signorino, che ci piaccia o meno, non è il primo esponente di questo movimento e non è l’ultimo. Ascoltatevi Bello Figo Gu con l’ormai famigerata Non pago affitto. Lo stile è leggermente diverso ma la sostanza è la stessa. Stesso discorso per gli OEL e le loro Focaccine dell’Esselunga, o la Dark Polo Gang un gruppo di ragazzini della Roma bene che, proponendoci una sorta di gangsta trap, in realtà rientra nell’inedito genere del demenziale involontario. Tutto il movimento trap si potrebbe definire No Style più che Free Style. Ma non avere nessuno stile è comunque uno stile. Young Signorino, a differenza degli artisti sopra citati, che declinano il genere trap in senso demenziale o sarcastico, è solo quello che sembra aver sperimentato in più direzioni. Una sperimentazione però spenta e, necessariamente, senza vivacità.
Il passaggio da una musica erudita, o comunque praticata da talentuosi, a una musica democratica, è un po’ come il passaggio da una poesia classica, con i versi in rima e con la struttura di una metrica codificata, alla poesia con versi sciolti o liberi. Se a praticarla ci sono dei Leopardi, degli Ungaretti, dei Pavese o al limite dei San Francesco, si può assistere a una viva rivoluzione culturale. Gli stessi versi adoperati da chi abbia poco o nulla da dire ci restituiranno una poesia conformista (anche senza rime).
Il genere trap potrebbe rappresentare l’occasione d’un passaggio rivoluzionario se nella cultura giovanile si celasse il fioco lume d’una qualche nuova controcultura. Dai testi praticati dalla maggior parte degli artisti trap, tutti interessati a riportarci i valori del mainstream e a far canzoni costruite sulle quattro esse della cultura dominante, Sesso, Soldi, Sballo e Super-Car, direi che siamo ancora in piene tenebre.
Di questo però non si può incolpare di certo i giovani artisti che, in fondo, fanno lo sporco lavoro che da sempre hanno fatto gli artisti. Il lavoro di chi, come Young Signorino, ci offre la possibilità di rifletterci nello specchio tenebroso e vacuo del nostro tempo presente.