Ti ho nascosto dentro la terra
come fanno i cani con le ossa
e adesso fiuto il dovere
di venirti a liberare.
Non so dire con precisione
come si inizia a perdonare.
Forse basta scavare forte
ignorando gli urli delle unghie.
*
Se schiudo i pugni
e incontro i palmi
vedo alberi capovolti
radicati ai miei gesti.
L’autunno esiste
solo sulle nocche
e tutto il resto è fioritura:
solstizio della parola.
*
Gennaio bacia con i denti
lasciando le labbra piene di tagli
e non so dirti se soffiare sulle candele
fa più male di esprimere un’ambizione.
Non mi serve voltarmi indietro
per giudicare il nostro passato
perché il mio vivere pende sui passi
e ora ho tutto davanti agli occhi.
Finalmente vedo
che nessuno si salva da solo
e se oggi decido di guarire
so che anche tu starai bene.
*
Una liquida canzone
che sutura le crepe
e sale verso il soffitto
sfiorando il lampadario.
A volte si danza
solo per restare in vita
mulinando le braccia
per risalire la sofferenza.
Il primo respiro
sarà un atto osceno
in un luogo salvo
tra noi e il mondo.
*
Voglio spendere i domani
per risolvere le mie espressioni
ma non cerco una cifra sfinita
a cui promettere la mia memoria.
Se compirò degli sforzi
sarà per piegare le mie parentesi
diventando una fortezza che sogna
abbracciata a una soffice conquista.
La presa della bellezza
di chi vive con una sola risorsa:
disegnare nel proprio labirinto
una crepa che invita il mondo.
*
Forse è soltanto
un perfezionarsi al perdono
quello che alle sette di sera
fanno i bagnini della Versilia.
Setacciare il passato
pregando a marcia indietro
per cancellare le tracce
di chi si nutre di onde.