I miracoli di Val Morel

Come lo scrittore Buzzati nasconde e libera il pittore Dino

«C’è da prenderlo a schiaffi, e un giorno forse lo farò. Sono ormai molti anni, forse qualche decennio, che Buzzati Dino ha messo alla porta Dino Buzzati con l’ingiunzione di mai più presentarsi.»

Così inizia Indro Montanelli la prefazione al libro di Dino Buzzati (1906-1972), edito da Garzanti nel novembre del 1971, intitolato I miracoli di Val Morel. Il volume è una raccolta di immaginari ex-voto per Santa Rita da Cascia dipinti dall’autore e accompagnati da didascalie, più o meno esaustive, che spiegano l’avvenimento ritratto.

Prima di conoscere I miracoli di Val Morel è necessario capire la figura di Buzzati pittore e la considerazione che aveva di questa attività.

Il rapporto di Buzzati con il disegno non è occasionale, e nemmeno è lo sfizio di uno scrittore affermato che si diverte a imbrattare tele nel tempo libero; al contrario, esso cresce di pari passo assieme a lui. Già nella più tenera età Buzzati accompagna va le lettere scritte al suo amico Arturo Brambilla con piccoli schizzi. Sin da quelli che possono essere considerati i primi lavori pittorici, due illustrazioni eseguite tra il 1923 e il 1924 ispirate alla poesia di Edgar Allan Poe The Haunted Palace, il testo e le immagini si compenetrano fino a ottenere un reciproco arricchimento estetico e contenutistico. Dal 1932 al 1950 la produzione pittorica si ferma, ma non si interrompe il doppio uso di parola e disegno. Non c’è lettera di Buzzati o quaderno d’appunti dove il testo non sia accompagnato da schizzi o scenette, come lo sono anche le sue opere letterarie: Barnabò delle montagne e Il segreto del Bosco Vecchio sono ricolmi di piccole illustrazioni, anche se queste non verranno stampate nel timore di dare al pubblico l’impressione di un libro per l’infanzia; e sempre a partire da disegni vide la luce La famosa invasione degli orsi in Sicilia[1].

Il 1º dicembre 1958, alla Galleria dei Re Magi a Milano, inaugura la prima personale di Buzzati e da qui fino alla morte, avvenuta il 28 gennaio 1972, egli non smetterà mai più di dipingere. La pittura divenne per lui quasi una necessità prioritaria anche rispetto alla scrittura. Quando pittura e scrittura si incontrano danno vita a due opere rilevanti come Poema a fumetti del 1969, dove l’autore rilegge con illustrazioni ispirate alla pop art, accompagnate da brevi testi, il mito di Orfeo ed Euridice (assimilabile come formato alla nascente graphic novel), e, appunto, I miracoli di Val Morel. «Il fatto è questo: io mi trovo vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa e le mie pitture non le “può” prendere sul serio»[2]. Queste opere verranno prese sul serio solo dopo la morte di Buzzati e verranno celebrate con una mostra antologica tenutasi a Palazzo Reale a Milano tra il 1991 e il 1992.

Buzzati è un pittore figurativo e le sue influenze sono di varia natura. Da piccolo è attratto da Arthur Rackham, Tiziano e Gustave Doré e in età adulta da Picasso, De Chirico e Magritte; molti critici hanno individuato come fonte di ispirazione il simbolismo di fine Ottocento, il surrealismo, la pop art e tra gli artisti Paul Nash, Gianfilippo Usellini e Andy Warhol, fino ad arrivare alla chiara ispirazione tratta dal fumetto e dalla cartellonistica[3].

Buzzati I miracoli di Val Morel

I miracoli di Val Morel è una raccolta di 39 tavole votive, accompagnate da altrettanti brevi testi, che raccontano eventi miracolosi attribuiti a Santa Rita. Nella Spiegazione che «vorrebb’essere una burla, e che invece è uno dei suoi più magici racconti»[4] l’autore ci narra di come è venuto a conoscenza di questi ex voto: un giorno nella biblioteca di suo padre trova un libro con scritto sul frontespizio Prodigiosi miracoli di Santa Rita onorati nel santuario di Val Morel in quel di Belluno; dopo alcune indagini si incammina verso il santuario e vi trova un tabernacolo rovinato dal tempo e un uomo che dice di essere l’ultimo dei guardiani del santuario; questi lo invita a seguirlo nella sua casa dove trovano riparo gli ex voto. Dopo una cordiale discussione i due si salutano. Nel 1946 l’autore vuole far conoscere alle nipoti quel luogo ma sia del tabernacolo che dell’uomo e della sua casa non vi è più traccia.

I soggetti che questi dipinti presentano sono i classici eventi da tavoletta votiva: ad esempio il n. 6 raffigura una ragazza rapita e il n. 27 narra la storia di una bambina inseguita da un lupo; a questi se ne affiancano altri un po’ più strani, ad esempio il n. 13, che raffigura la Santa che scaccia con una scopa uno spirito chiamato Il Vecchio della Montagna, e il n. 19, dove un uomo viene salvato dalle formiche che infestavano la sua mente.

Questi dipinti si offrono come «il gruppo più organico che esprime le lontane superstizioni delle valli alpine, tanto simili alle moderne paure»[5] e riportano l’autore a giocare con il fantastico e la fantasia, facendo dire a Montanelli che Buzzati «si proponeva di comporre un album di scherzi, e invece ha scritto col pennello la sua poesia più bella»[6]. Sia nella parte testuale sia in quella iconografica, in questo lavoro inscindibili, elementi essenziali dello stesso linguaggio, traspare il divertimento dell’autore, dettato da una vera passione che appaga in egual modo lui e il lettore. Le immagini risultano sempre fresche dal punto di vista estetico anche se, nella maggior parte dei casi, sono cariche di angoscia.

«Cosciente, Buzzati è un tale cretino che non si accorge nemmeno di essere, da incosciente, un genio. E fra tanti miracoli Santa Rita compia anche quello di lasciarlo com’è»[7].

La liberazione che la Santa compie verso i protagonisti degli ex voto ha effetto anche sull’autore stesso, in quanto in quest’opera il Buzzati pittore e il Buzzati scrittore, proprio sul finire della vita, coesistono in maniera armonica e perfetta, non sovrastandosi ma riuscendo a creare quel linguaggio tanto cercato che sarà denominato letteratura disegnata o “lett-pittura”. Qui appare «anzitutto chiara una disciplina linguistica. […] Il mezzo tecnico resta allo stadio più elementare, ma la forza del racconto figurato diventa arte»[8].

Note

[1] L. Viganò, Introduzione, in D. Buzzati, Le storie dipinte, a cura di L. Viganò, Mondadori, Milano 2013, pp. 10-11.

[2] Ivi, p. 1.

[3] Ivi, p. 18.

[4] I. Montanelli, Prefazione, in D. Buzzati, I miracoli di Val Morel, Garzanti, Milano 1971, p. 5.

[5] R. De Grada, Un naïf del Duemila, in Id. (a cura di), Buzzati pittore, Mondadori, Milano 1991, p. 14.

[6] I. Montanelli, Prefazione, cit., p. 5.

[7] Ibid.

[8] L. Viganò, Introduzione, cit. p. 14.

di Marco Saporiti

Autore

  • Laureato in Storia e Critica dell'Arte, ha una passione infinita per il Rinascimento tedesco, la batteria e la musica progressive. Ha la capacità innata di diventare un'ombra quando è al cospetto di troppe persone.

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