Cortisolo, serotonina, dopamina: una nuova “provetta” d’amore
L’evoluzione ha creato un sistema sofisticato per farci accoppiare e di certo non ce ne possiamo lamentare. Ma cos’è l’amore a livello biofisico e perché ci fa letteralmente impazzire?
Come avrete intuito guardando Scrubs e Grey’s Anatomy, medicina e amore vanno spesso a braccetto. Ma come avrete scoperto con l’esperienza, i veri medici non parlano praticamente mai di amore con i pazienti: è un tema considerato secondario e superficiale, in medicina. Grave errore: l’amore e la sessualità sono parti integranti del nostro essere. Se, per esempio, un farmaco può provocare impotenza o calo del desiderio, il paziente dovrebbe sempre esserne informato. L’amore è subdolo: riesce a spacciarsi per una frivolezza di poco conto quando – lo sappiamo tutti – è una cosa serissima.
Ci hanno provato in tanti a descrivere cosa succede al corpo di una persona innamorata, ma forse nessuno meglio di Saffo:
[…] Subito a me
il cuore in petto s’agita sgomento
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Rapido fuoco affiora alle mie membra,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
I sintomi sono chiari: il cuore accelera, il respiro è più intenso, l’appetito diminuisce. Le donne si sentono più belle, gli uomini più forti. Ci sentiamo pronti a tutto e sembra che non ci sia più spazio nell’encefalo per altro che per l’amato. E, a proposito di imbrogli, sbugiardiamo il cuore: l’amore è neurologia, non cardiologia. In uno studio[1] del 2005 è stato analizzato tramite risonanza magnetica funzionale il sistema nervoso centrale di 2500 studenti universitari in quel momento innamorati. Venivano mostrate loro foto di persone che amavano alternate a foto di conoscenti e nel frattempo veniva osservata la loro attività cerebrale.
Immancabilmente, alla vista dell’amato, non sono mancati fuochi d’artificio nelle regioni ricche di dopamina, il neurotrasmettitore del benessere. Altre aree attive si sono rivelate il nucleo caudato e l’area del tegmento ventrale. Il primo fa parte del circuito della ricompensa e dell’aspettativa, legato anche all’integrazione dell’esperienza sensoriale nel comportamento sociale; il secondo è invece associato al piacere, all’attenzione focalizzata e alla motivazione necessaria per ottenere una ricompensa. Il circuito della ricompensa governa e rinforza comportamenti atti a ottenere piacere (ricompensa) come il sesso e il buon cibo e quindi, ovviamente, è anche il circuito legato alla dipendenza da droghe o altre sostanze che danno assuefazione. Tra le componenti del circuito ci sono, oltre che strutture superiori come la corteccia prefrontale, anche strutture profonde come l’amigdala e l’ippocampo.
Ci sono due elementi che emergono e il primo è che l’amore è a tutti gli effetti una droga. Quando c’è l’amato è estasi e pace dei sensi, quando manca c’è il craving, un bisogno impulsivo e irrefrenabile di ottenere l’oggetto del desiderio. Il secondo elemento interessante è che le strutture profonde nell’encefalo sono le strutture filogeneticamente più antiche, ossia quelle che abbiamo in comune con tanti altri animali più primordiali: i primati hanno la corteccia molto simile alla nostra, ma animali più semplici come le rane hanno la parte corticale molto meno sviluppata. L’amore, per la gran parte, risiede là dove stanno le nostre funzioni più primitive, quindi non nel cervello vero e proprio (la parte grinzosa) bensì nelle strutture poste nel nucleo dell’encefalo, quelle più antiche e più protette anatomicamente.
Ma come si trasmette a tutto il corpo questo sentimento? Grazie ai neurotrasmettitori, sostanze chimiche che partendo dall’encefalo viaggiano e arrivano ovunque, alimentando il circuito del desiderio-ricompensa. Il risultato, poi, sarà una risposta specifica a seconda del target: le mani suderanno, le guance arrossiranno, l’attivazione neuronale si tradurrà in ansia e passione a livello cognitivo. Peculiare è l’aumento dei livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, nelle fasi iniziali dell’innamoramento, che il corpo interpreta come una crisi. Contemporaneamente, c’è una deplezione delle scorte di serotonina che provocano quel groviglio di pensieri tipici: preoccupazione, speranze, terrore di non piacere e comportamenti ossessivo-compulsivi.
Ciò che tiene oliata la nostra macchina della ricompensa è la dopamina, la quale è responsabile, per esempio, dell’euforia dei cocainomani o dell’allegria degli alcolisti: è proprio questa che ci rende felici come vongole da innamorati. Altre sostanze chiave sono l’ossitocina e la vasopressina, importanti anche in gravidanza, nell’allattamento e nel legame madre-infante. L’ossitocina è rilasciata durante il sesso, durante il contatto pelle a pelle, ed è ciò che fa sentire una coppia più vicina dopo il coito. Conferisce calma, senso di sicurezza e di legame: ci fa sentire in pace con il mondo. La vasopressina invece ha un ruolo più importante nelle relazioni monogame a lungo termine. Le due sostanze si bilanciano, cosicché la passione iniziale sfuma ma l’attaccamento cresce sempre più.
Oltretutto, amare spegne i nostri sentimenti negativi (che ovviamente hanno anche loro ragion d’essere, dal punto di vista evolutivo). Per via dell’attivazione del pathway che coinvolge il nucleo accumbens non sentiamo più paura o senso di inadeguatezza sociale. Non siamo più in grado di valutare oggettivamente l’altro e da qui nasce la nostra visione soggettiva dell’amato, fortemente influenzata dagli ormoni.
Parlando di amore, non si può non toccare il tema dell’omossessualità. Nel 2018 c’è ancora chi crede che l’orientamento sessuale sia una scelta, come se ci fosse chi sceglie di vivere una vita relativamente semplice e chi invece preferisce diventare bersaglio dei minus habentes (è una diagnosi) che chiamiamo “omofobi”. «Your argument is highly iIllogical», direbbe Spock.
L’orientamento sessuale è determinato da una multifattorialità, da fattori ambientali (a partire dalla vita fetale), ormonali, sociali e genetici. Questi ultimi sono i più oggettivabili e quindi quelli più facilmente studiabili. Sebbene l’omosessualità sia sempre esistita, solo recentemente – ahinoi – la medicina ha smesso di considerarla una malattia. Per questo tutti gli studi volti a mostrare le basi biologiche dell’omosessualità sono piuttosto recenti e ancora acerbi. Al momento è in auge la teoria secondo cui il cromosoma X, a livello di Xq28, e il cromosoma 8, nell’area del centromero (centrale), abbiano un ruolo nell’omosessualità maschile[2]. Questo non vuol dire però che stiamo andando nella direzione di tentare di dedurre l’orientamento sessuale dall’analisi del genoma: i fattori rimangono molteplici.
Dopo tutti questi discorsi, abbiamo chiarito che l’amore è una cosa semplice solo per Tiziano Ferro. L’amore è una cosa seria e, anzi, può diventare il baricentro della nostra vita, con tutte le implicazioni fisiologiche di cui abbiamo parlato. Come può un medico ignorare una parte così importante della vita del suo paziente? I medici dovrebbero essere i primi a parlarne e a indagare su questo tema, ma in effetti capita di rado anche per un fattore culturale. Siate più saggi di così: immaginatevi sul set di un medical drama e parlate a ruota libera di questi argomenti, che sono sì personali, ma non più della vostra ipertensione. Siate voi i primi a parlare di amore e sesso con il vostro curante: è importante, al di là dell’importanza intrinseca di questi temi, anche perché cambiamenti in questa sfera possono essere indice di qualcosa di più grave che potrebbe meritare attenzione medica.
Note
[1] Fisher et al., “Romantic Love: an fMRI Study of a Neural Mechanism for Mate Choice”, in The Journal of Comparative Neurology, n. 493, 2005, pp. 58-62.
[2] Sanders et al., “Genome-Wide Scan Demonstrates Significant Linkage for Male Sexual Orientation”, in Psychological Medicine, maggio 2015.