Gioia di Biagio, l’artista soggetto degli scatti fotografici di queste pagine incentrate sul tema dello Sgretolamento e ospite presso il teatro Corte dei Miracoli in occasione della presentazione del numero, racconta la sua fragilità e il suo desiderio di esprimerla attraverso la performance.
Da Fragile a Io mi oro. Questi due progetti parlano di te, in prima persona. Come si è evoluta la tua espressione artistica?
Il progetto Fragile è nato con mia sorella Ilaria. A lei, che al tempo frequentava un master di fotografia alla Danish School of Photography, ho proposto un progetto fotografico che facesse conoscere le problematiche dell’EDS, attraverso lo sguardo delicato di due sorelle. Entrambe volevamo che fosse mirato a far conoscere questa malattia, purtroppo sconosciuta, spesso anche a molti medici. Attraverso Fragile abbiamo raccontato, fotografato, documentato il vivere quotidiano di questa condizione delicatissima. E anche grazie a questa iniziativa è stato possibile conoscere più approfonditamente l’EDS e le realtà che se ne occupano: associazioni, centri specializzati, medici, pazienti; inoltre ho avuto più risposte rispetto alla mia condizione clinica. Nel progetto Io mi oro invece lavoro direttamente su me stessa, sul mio corpo, sul superamento delle mie paure, dei miei limiti, spesso reali, ma superabili almeno con la forza d’animo, con la metafora di ricoprire d’oro le mie cicatrici come nel kintsugi.
Nel progetto la performance dialoga con un’antica arte giapponese: il kintsugi – letteralmente oro (“kin”) e riunire, riparare, ricongiungere (“tsugi”) – detta anche l’arte di impreziosire le cicatrici. Qual è il tuo legame con la ritualità di questa tecnica tradizionale?
Il legame nasce nel giorno del mio matrimonio, quando mi è stato regalato uno shimodai: un tradizionale omaggio nuziale giapponese composto da un piatto che contiene pino sempreverde, simbolo di costanza, bambù flessibile e resistente, simbolo di lealtà, e pruno, che fiorisce prima dello scioglimento delle nevi, immagine del coraggio e del rinnovamento. In questa isola in miniatura due piccoli personaggi in porcellana rappresentano gli sposi. Mesi dopo, io e Ilaria cercavamo di riordinare statuine e foglie secche, quando il gomito di Ilaria ha sfiorato la piccola sposa di porcellana: dopo pochi istanti di silenzio, lo schianto della porcellana in mille pezzi. Ilaria era mortificata, io annuivo, consolandola, sono cose che succedono. Poi improvvisamente lei mi ha guardato: «… Ma lo sai che ho letto proprio ieri di un’antica arte giapponese in cui si riparano le ceramiche rotte con l’oro?»… Subito è corsa a cercare l’articolo e lo abbiamo letto insieme.
La tecnica consiste nel riunire frammenti di oggetti rotti con colla e foglia d’oro, dandogli un aspetto nuovo attraverso le cicatrici impreziosite. Ogni pezzo riparato diviene unico e irripetibile. In questo modo ciò che si rompe non viene accantonato o gettato ma acquista un grande valore. Nell’entusiasmo di questo risvolto sono stata quasi contenta dell’avvenimento avvertendolo subito come segno del destino e ho imposto che avremmo dovuto cercare colla e oro per riparare insieme la sposina in frantumi. La notte non mi sono addormentata subito, ripensavo continuamente all’arte dell’accettare la rottura come un segno di bellezza, il valore aggiunto alla fragilità, ai segni della vita vissuta.
Emerge il forte rapporto personale e artistico fra te e tua sorella Ilaria. Come il vostro rapporto personale ha influenzato il vostro percorso creativo?
Entrambi i progetti in effetti nascono dal nostro forte legame, e viceversa entrambi i percorsi sono il frutto della nostra collaborazione. Inizialmente abbiamo voluto raccontare attraverso testi e immagini la mia vita: con Fragile è la fotografia di mia sorella Ilaria a dare la possibilità di far conoscere e sensibilizzare sulla mia malattia rara a molti sconosciuta; per quanto riguarda me in questo progetto, dopo la sensibilizzazione, sono passata alla comprensione e all’accettazione della mia condizione. In Io mi oro il ruolo di mia sorella è stato quasi casuale, ma fondamentale: quando ci siamo sedute a quel tavolo come certosine, abbiamo creato insieme: lei cercava i pezzi come in un puzzle e io uno ad uno li rincollavo e poi li riempivo d’oro. La piccola sposa in ceramica ora non mi rappresentava solo in quanto sposa, ma anche nelle sue ferite da rimarginare con l’oro, ed è così che ho deciso di iniziare il progetto Io mi oro in cui ripercorro le mie cicatrici con la foglia d’oro. Nella vita di ognuno di noi, forse, si deve cercare il modo di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di crescere attraverso le proprie esperienze dolorose, di valorizzarle, esibirle e convincersi che sono proprio queste che rendono ogni persona unica, preziosa.