Personalità premorbosa e Sgretolamento: una lettura della fobia
Come rileggere il racconto della propria vita in maniera più flessibile? Una lettura cognitivista indaga le personalità premorbose nei loro eccessi di vicinanza o presa di distanza dagli altri a tutela della propria integrità psichica.
Ora di punta a Milano, affollata stazione della metropolitana. Studenti che corrono per le scale, uomini d’affari che si affrettano tenendo ben salde le proprie valigette, donne dal passo ticchettante, turisti. Tutti procedono rapidamente, molti approfittano dei tempi di spostamento attraverso questi non-luoghi per fare altro. Sembra ormai intollerabile fare soltanto una cosa per volta: si legge il giornale, si risponde a una mail, si scorrono le pagine dei social, si fa una telefonata. Ma come mai per qualcuno, a un certo punto, un’azione quotidiana e banale come prendere la metropolitana nell’ora di punta diventa intollerabile? A cosa è dovuta quell’esitazione sulle scale, quel dietro-front umiliante, la tachicardia, le gambe che tremano, le scuse accampate con i colleghi per non fare il tragitto insieme, rivelando la propria irrazionale fobia?
Secondo una lettura cognitivista del funzionamento psichico, per spiegare un comportamento o un’emozione è indispensabile soffermarsi sul pensiero che sta tra la situazione (l’antecedente) e la reazione (conseguente). Se prendere la metropolitana è un’attività condivisa da molti, qual è il pensiero che un soggetto sviluppa al riguardo, tale da rendere doloroso se non impossibile continuare a farlo? E come si inserisce quel pensiero nella una storia di una vita, nella trama di un’esistenza che è, di fatto, un processo di attribuzione di significato in cui siamo impegnati sin dalla prima infanzia?
Superando le letture semplicistiche e razionaliste dei grandi padri del cognitivismo, Guidano e Liotti hanno proposto, a partire dagli anni Novanta, una lettura post-razionalista, decisamente più vicina al costruttivismo di Kelly rispetto alle tradizioni rebtiana e beckiana, impegnate a identificare e scardinare pensieri irrazionali. Secondo la prospettiva post-razionalista, nota anche con il nome di cognitivismo costruttivista, la persona è definita come generatrice di significati. In quest’ottica, la rappresentazione di sé nel mondo, più che in termini di adeguatezza alla realtà, va esaminata nei termini di una coerenza interna di operazioni mentali, stati fisiologici e affetti, che si configurano e organizzano nel corso del tempo in base alle esperienze con l’ambiente e che orientano il processo esistenziale in termini affettivi, cognitivi e comportamentali. Tutti noi cerchiamo, cioè, di dare un senso a ciò che ci accade in base al sistema di interpretazione e attribuzione di significato che abbiamo costruito nel corso delle nostre esperienze nel mondo. È possibile, tuttavia, che a un certo punto un evento (non necessariamente negativo e non necessariamente di portata straordinaria) determini una invalidazione del sistema costruito e, in alcuni casi, uno sgretolamento dell’equilibrio, in coincidenza con l’insorgere di una patologia psichica.
Prendiamo il caso dell’organizzazione fobica, così come descritta da Sassaroli, Lorenzini e Ruggiero (2005). Secondo gli autori, la personalità premorbosa (che precede, cioè, l’insorgere della patologia) dei soggetti che svilupperanno una fobia può essere di due tipi. Da un lato starebbero i soggetti dipendenti: si tratta di individui che si percepiscono come deboli e poco desiderabili, si preoccupano costantemente di mantenere vivo l’affetto di chi li circonda e temono che, un giorno o l’altro, le persone si accorgeranno del loro scarso valore e li abbandoneranno. L’organizzazione di significati che operano nella quotidianità si basa su una concezione di sé come deboli e bisognosi delle cure altrui. In genere l’infanzia è segnata dalla ricerca di vicinanza con gli adulti, dall’evitamento di giochi pericolosi, talvolta da un disagio connesso all’ambiente scolastico che si può manifestare attraverso sintomi fisici. Con il passaggio all’adolescenza questi individui continuano ad avere nei genitori i principali punti di riferimento e se ne allontanano malvolentieri. Evitano di trascorrere tempo con i coetanei lontano da casa per vacanze o periodi di studio all’estero e, in ogni caso, riducono al minimo i conflitti, anche quando subiscono dei torti. Si tratta di individui che riducono al minimo l’esplorazione e privilegiano rapporti considerati stabili e protettivi.
Dall’altra parte troviamo le personalità autonome, anch’esse a rischio di sviluppo di una patologia fobica. Questi individui si concepiscono come forti e ricercano attivamente la libertà da ogni legame. Tendono a esplorare molto, sono autonomi e razionali, spesso trascorrono periodi lontani da casa durante l’adolescenza e la prima giovinezza. Non è raro che ottengano buoni risultati nello studio e nel lavoro, né che siano circondati da numerosi amici e ingaggiati in diversi flirt, ma le relazioni non sono costitutive per il sé e le emozioni sono interpretate come un ostacolo nel perseguimento degli obiettivi.
È bene ricordare che non necessariamente le organizzazioni di significato personali conducono allo sviluppo di una patologia psichica; al contrario, è possibile che l’individuo conduca una vita relativamente sana ed equilibrata. Gli eventi scatenanti, che determinano uno sgretolamento dell’equilibrio, sono eventi che mettono in discussione la possibilità di raggiungere uno scopo ritenuto importante, invalidando una delle polarità attorno a cui il soggetto è solito organizzare i significati. Per gli individui la cui personalità premorbosa sia riconducibile alla tipologia “dipendente”, la sintomatologia fobica si può presentare a seguito del distacco da una figura di attaccamento. In altre parole, per una persona che abbia organizzato le proprie esperienze attorno a un’idea di sé come attaccato alle figure significative, perdere uno di questi punti di riferimento (in modo permanente o definitivo, reale o immaginario) può significare uno sgretolamento della propria struttura, un’incoerenza nel racconto che scardina gli equilibri precedenti. Simile effetto può sortire l’invalidazione di un’altra polarità costitutiva della personalità dipendente, ossia quella della concezione di sé come soggetto debole. Una promozione sul lavoro, la conclusione di un ciclo di studi o il raggiungimento di qualche altro traguardo possono scardinare le organizzazioni di senso fino a quel momento costitutive del soggetto e determinarne lo scompenso.
Analogamente, personalità autonome come quelle tratteggiate sopra possono precipitare nella patologia qualora sia invalidata la concezione di sé come persona forte. Prendiamo ad esempio la scoperta di una malattia, che riveli in termini inequivocabili la vulnerabilità del corpo, o un incidente stradale che smascheri la pretesa di inattaccabilità attorno a cui i soggetti autonomi hanno a lungo organizzato le proprie esperienze di vita. In molti casi non è neppure necessario che i danni o i pericoli per la salute individuale siano elevati: si tratta, come già sottolineato, di un’impossibilità di integrazione di quanto avvenuto nel proprio universo di significati. Lo stesso vale per tutti gli avvenimenti che mettano in discussione la polarità “solo” del proprio universo di senso: un matrimonio, per esempio, o la nascita di un figlio, minano alla base la concezione di sé come individuo libero da legami affettivi, facendo tremare l’organizzazione di personalità sino a quel momento salda.
Così, può accadere che prendere la metropolitana ci terrorizzi, che i luoghi affollati risultino infrequentabili, che il pericolo di una malattia ci appaia sempre in agguato. Qualcosa è successo, ma non sempre è facile identificare che cosa realmente sia accaduto, specie se non si chiede aiuto. La patologia si sviluppa e, molto spesso, si mantiene attiva tramite circoli viziosi difficili da scompaginare. Perché allora non rileggere il racconto della propria vita e diventare protagonisti di una versione più flessibile, identitaria e adattiva della propria storia?
Bibliografia
Bara, B., Nuovo manuale di psicoterapia cognitiva, Bollati Boringhieri, Torino 2005.
Liccione, D., Psicoterapia cognitiva neuropsicologica, Bollati Boringhieri, Torino 2011.
Ruggiero, G.M., Terapia cognitiva, Raffello Cortina Editore, Milano 2011