Frantumazione, sgretolamento, stasi davanti all’incombere dell’“ignobile”, apparente arrendevolezza al nemico, saggezza nella codardia. L’I Ching inscrive questo processo nell’armonia nascosta che cerca di rischiarare, come appartenesse al corso naturale degli eventi.
La prima scena che questo concetto mi porta alla mente è la scena di Confortably Numb. Con Pink depresso marcio e stordito davanti al televisore. Si tratta di un apice del processo che viene messo in un musical e anch’esso, continuando a dire quel che ha da dire, parla di qualcosa che è affine alle saggezze tradizionali e suggerisce un sottotesto razionale di entrambi esprimibile nella sua reinterpretazione artistica, ma anche oltre a essa.
Appare continuamente il parallelo tra lo spettro della guerra affrontata dal padre morto e la “guerra” fatta dai movimenti contestatori degli anni ’70: in entrambi compare lo spettro di un mostro che segue il personaggio ovunque vada e che ha anche a che fare con il suo ruolo ambiguo di rocker e icona carismatica fino al limite del dittatoriale, dalle cui parole pendono tutte le pecore che seguono quei movimenti contestatori stessi, come tanti “mattoni nel muro”, senza una vera e propria identità.
È in qualche modo onesto quindi il Pink-dittatore che chiede:
So ya
Thought ya
Might like to go to the show.
To feel the warm thrill of confusion
That space cadet glow.
Tell me is something eluding you, sunshine?
Is this not what you expected to see?
If you wanna find out what’s behind these cold eyes
You’ll just have to claw your way through this disguise.
Non si esime da una prospettiva soggettiva, e da tutte le angosce, i sogni horror del protagonista (fino a sfociare nei tipici scenari psichedelici in cui questa mostruosità affiora, come aerei che sganciano bombe o simboliche danze sessuali o tombe con croci sanguinanti). Dove la psichedelia è quest’abbandono psicotico alle immagini oniriche e angoscianti che mettono in luce le sue stesse paure, che contribuiscono ad erigere e reggere quel muro.
Tutto l’album esprime questo stato di coscienza in cui si passa da una strana infanzia in cui rifulgono una luce e una sensibilità salvifiche a una scolarizzazione repressiva a una liberalizzazione violenta con un nichilismo di fondo che sfocia poi nell’abbandono quando si vede come ogni rivalsa sia guidata da un mostro, dal quale non si riesce a sfuggire neanche divenendo a propria volta in qualche modo dei mostri.
Ma non è proprio la sua espressione artistica che redime dal giogo della violenza? Non dimenticarla ma esserne partecipi e padroni senza farsene dominare, presenti dietro e nella maschera dell’artista, facendo così la pace con questo mostro che diviene così più umano (ed è volto, nell’essenza, al mostrare, come si potrebbe constatare in tanti criminali e personaggi pubblici, che forse starebbero meglio se si dessero all’arte) tanto da far sì che esista anche quel luogo “oltre al muro”, come viene detto sul finale, dove vivono i “veri amici” evocati dai ricordi d’infanzia, dove cercare quella sensibilità e quella luce che il mostro altrimenti soffocherebbe, come in Confortably Numb.
When I was a child I had a fever
My hands felt just like two balloons
Now I’ve got that feeling once again
I can’t explain you would not understand
This is not how I am
I have become comfortably numb
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown
The dream is gone
I have become comfortably numb
Il ricordo di questo scintillio colto nell’infanzia è ciò che risveglia alla consapevolezza, in età adulta, di uno stordimento.
Il film, come l’album, possono essere assieme liberatori, nel mostrare il problema, e angoscianti nel non darvi, in arte, alcuna soluzione se non il corso degli eventi stessi.
Alla fine tutto gli viene rinfacciato, dalle mostruose caricature femminili della madre possessiva e della donna tradita che cercano di farlo sentire in colpa, ed è un grande culo parlante a farsi eminente giudice e rappresentante della corte popolare dandogli del pazzo (così come pensava già da sé), a far crollare il muro – con quella stessa cieca violenza originaria.
Alla fine quel che rimane sono gli affetti reali, al di là di quel muro abbattuto da quel giudizio popolare. Come cioè se quel ritorno fosse dovuto sempre a forze che vanno al di là del controllo individuale ed in cui tutti sono più o meno consapevolmente coinvolti.
I temi principali di The Wall sono quello della paura e quello della follia, del mostro, del senso di colpa e delle pretese della rivoluzione culturale, in cui, come tanti piccoli mattoni, sono inseriti gli individui moderni, una rivoluzione tragica che sembra inevitabile in assenza della consapevolezza delle forze che la animano e che questo film mette in luce.
Cosa sono i vermi che rodono Pink, perché è così facile sgretolare il “ghiaccio” della vita moderna, perché l’ansia di riempire lo spazio vuoto, l’angoscia di quest’assenza?
Difficile pensare che Pink sia stato colpevole tutto il tempo, ma come leggiamo anche nell’I Ching egli deve manifestare il punto massimo di degenerazione di un nobile oltre il quale c’è la fine, un’inoltrepassabile identità oltre i condizionamenti di una mentalità governata dalla paura e dalla debolezza che si incarnano in quelle prese di posizione che danno vita al mondano e oltre cui c’è un’ineffabile speranza che spinge ad andare oltre, perdendo quell’identità in un “mattone anonimo”.