Questo articolo cerca di fornire alcune buone indicazioni per capire cosa sia il blues.
Spesso si sente dire che il suo tempo è finito ed è innegabile che sia ormai un genere di nicchia, ma le sue strutture ritmiche armoniche e melodiche pervadono ancora molta musica contemporanea, specialmente quella “popolare”: rock, hard rock, punk, soul, metal, ma persino il rap. È generalmente solo lo sfondo di musica più rabbiosa o genericamente sentimentale, forse perché è vero ciò che diceva Hendrix: è facile da suonare ma è difficile da sentire, come toccasse una corda dimenticata dell’animo.
Non si parla ovviamente solo di musica: il blues è uno spirito, e in quanto tale oserei dire che è senza luogo e senza tempo.
L’espressione “to have the blue devils” è attestata nell’inglese a partire dal XVII secolo e si riferisce allo stato allucinatorio che segue all’astinenza da alcool. Reazione al senso di una mancanza, qui intesa in senso strettamente biochimico, ma che poi indicherà più vagamente qualcosa di spirituale.
A livello musicale è noto come il blues abbia le radici nei canti degli schiavi neri nelle piantagioni, e in quelli che si potevano udire nei porti e tra i manovali durante la guerra di secessione.
Già allora “to have the blues” era un modo per indicare uno stato di tristezza, malinconia, sofferenza: lo stato di colui a cui manca qualcosa e che ne ha nostalgia. Nel caso specifico, questa mancanza poteva essere identificata nella mancanza di libertà dall’oppressione bianca.
I temi trattati dai testi non si può dire siano molto cerebrali, ma di certo sono molto umani. Per esempio il brivido dell’amore perduto, “thrill is gone”; la volontà di fare ritorno a un luogo, una città, di appartenenza comune, “back to the same old place, sweet home Chicago “; lo smarrimento, “first time I met the blues, people I was walking, I was walking down throgh the woods”; l’essere nati “diversi”, “born under a bad sign”, il che tuttavia è anche la propria salvezza. Oppure testi autoreferenziali, che parlano del blues stesso e del suo mistero: “Everybody want to know, why I sing the blues, well I’ve been ‘roud long time, I really paid my dues”, cantava baldanzoso B.B. King. Oppure “the same old blues” è il modo in cui Clapton affronta la giornata, lasciando la donna perché deve “volare” (difficile che un blues parli strettamente di lavoro). E poi torna a casa senza mentirle. Di donne si parla quasi dappertutto. Preoccupazioni, problemi da risolvere, avventure, casini. Accrescimenti, indagini, piace così. Ma la donna è onnipresente, il porto a cui si fa sempre ritorno e che forse fa sì che in tutto ciò non si smarrisca la propria umanità.
Poi, naturalmente, c’è il ” diavolo”, come in Me and the Devil Blues di Robert Johnson.
Early this morning, ooh
When you knocked upon my door
And I said “hello Satan
I believe it’s time to go”.
È indicativo come questo genere fosse suonato dai neri, emarginati dalla società ben pensante; generalmente persone senza una gran cultura, o addirittura analfabeti.
Ma non si trattava in origine di una musica di protesta o di rivolta. Il blues esprime una libertà interiore, prima che materiale, legata all’interpretazione di quel sentimento di perdita e di incompletezza. Scrive Giovanni Scardoglo, giornalista italiano, esagerando, che «il blues è sconfitta, un vincente non potrebbe mai portarsi il blues dentro. Il blues non ama i vincenti, si allontana quando ne sente l’odore. Il blues è la rivincita dei perdenti, il blues è il pane degli sconfitti. Il blues è la mia malinconia, mi accompagna, da quando sono nato».
Niente arrivismo: sociale, culturale, politico, economico, di qualsiasi genere. Non si opera per piacere alla gente, ma per onestà. Che poi sia proprio quest’atteggiamento che consente di amare ciò che si fa e dunque essere la chiave di un successo autentico, è un altro discorso.
La struttura armonica canonica consiste in una continua tensione che non si risolve mai, che ritorna su se stessa, non ha posa se non nella fine.
Essenziali le improvvisazioni: è la melodia spontanea, che differisce dal lungo studio e dalla laboriosità che contraddistinguono la cosiddetta musica colta.
Restando in Europa, forse la storia fornisce qui una buona risposta alla domanda nietzscheana su come avrebbe suonato in futuro una musica dionisiaca. Ciò che tale principio rappresenta, ciò la cui repressione nell’arte romantica e nella sua epoca il travagliato gigante baffuto denunciava in continuazione, non è forse strettamente connesso proprio a questa spontaneità e onestà intesa nel senso in cui si esprime l’autentico sentire, senza grandi precostruzioni, in occasioni di riemersione dell’infinito?
Si tratta di una musica inebriante. Quello che il bevitore cerca di sbloccare con l’alcool o con qualche altra sostanza non può sbloccarsi anche solo lasciandosi trasportare dalla musica? L’ebbrezza disinibisce e allontana dalle forme di normale autocontrollo che precludono lo spontaneo fluire e sotto cui si sedimenta una dolorosa repressione. A essa si lascia andare il blues che oggi ascoltiamo anche grazie a quei “missionari”, come Eric Clapton, che hanno colto questo spirito, lo hanno sviluppato e mantenuto, per quanto ciò potesse attirare l’astio di tutti i “nazisti dell’ Illinois”, come vengono chiamati nei Blues Brothers, e delle altre forme di controllo sociali che vi si oppongono, pur incorrendo spesso con ciò in crisi e comportamenti autodistruttivi.
Per sottolinearne la valenza interculturale, ecco la sentenza del venticinquesimo esagramma dell’ I Ching, L’innocenza:
Sotto il cielo passa il tuono.
Tutte le cose acquistano lo stato dell’innocenza
Così gli antichi re curavano e nutrivano,
Ricchi di virtù e in armonia con il tempo, tutti gli esseri.
L’innocenza è un concetto che ha diverse connotazioni a seconda del contesto culturale. Ciò che la cristianità ha inteso per secoli come “assenza di colpa” non è ciò che generalmente in Oriente, e in questo testo in particolare, veniva inteso come tale. Di fatti quello di cui parla l’ I Ching ha a che fare con l’indole schietta, naturale, non offuscata da premeditazione e secondi fini. Pur avvertendo la nostalgia di un qualche “paradiso perduto”, l’insanabile dolore della perdita, nel blues ciò sfocia in una reazione non violenta, almeno nel senso che non si traduce questo sentimento in una sterile ribellione e aggressività rivolta al “sistema”, bensì in una forma di emancipazione individuale e comunitaria dalla mentalità oppressiva che lo governa.
Canta Leonard Cohen, con i suoi tipici toni pseudo-religiosi , in Almost Like the Blues.
But I’ve had the invitation
That a sinner can’t refuse
And it’s almost like salvation
It’s almost like the blues
O Jim Morrison, facendo lo sciamano (anche se, secondo me, di blues aveva poco e la cosa lo frustrava), in The end:
The blue bus is calling us.
Infine la celebre poesia di W. H. Auden, Funeral Blues:
Stop all the clocks, cut off the telephone,
Prevent he dog from barking with a juicy bone,
Silence the pianos and with muffled drum
Bring out the coffin, let the mourners come.
Let aeroplanes circle moaning overhead
Scribbling on the sky the message He Is Dead,
Put crêpe bows round the white necks of the public doves,
Let the traffic policemen wear black cotton gloves.
He was my North, my South, my East and West,
My working week and my Sunday rest,
My noon, my midnight, my talk, my song;
I thought that love would last for ever: I was wrong.
The stars are not wanted now: put out every one;
Pack up the moon and dismantle the sun;
Pour away the ocean and sweep up the wood;
For nothing now can ever come to any good.
Parla della tragedia della perdita di ciò che domina le speranze e le prassi terrene (di “Lui”, la morte di “Dio” inteso quantomeno come l’insieme delle fedi negli assoluti, negli immutabili, nelle certezze, e dunque nelle forme di controllo e la perdita della “coscienza” intesa nell’accezione comune che si ha di essa).
C’è poco da fare, insomma: dai tempi dei tempi, conservare l’innocenza e la spontaneità sembra essere qualcosa da ribelli, ma viene invece da un’intima coerenza, e non necessita di sfociare nell’autentica violenza, ma può invece affiorare in feste in cui oggi, come nei tempi antichi, la sofferenza venga espiata. Questo è espresso in molti modi, tra cui, forse nella forma più semplice, proprio nel blues, il cui “diavolo” è più o meno sopito, nascosto sotto il manto della luce. E se viene accolto e gli si dà uno spazio di gioco, lo si guarderà davvero in volto, come si guarda il sorrisone di B.B King? Si scherza spesso sul fatto che “se pensi al gioco hai perso”…
Forse, detto con una metafora, per sentire ancora questo spirito, bisogna spegnere le luci.
C’è molto altro al di là dei dettami dominanti, e questo rende la vita più insicura, ma anche emancipata, anche se, probabilmente, ancora perseguitata dai fantasmi, fittizi o reali che siano, di ciò da cui si è intimamente liberi.
Canta così Robert Johnson, in Hellhound on My Trail.
Devo correre, il blues cade come grandine. E il giorno continua a tormentarmi… c’è un mastino infernale sulle mie tracce.
Ma queste sono parole, mentre il blues va oltre alle parole: si sente…
di Michele Piaggio
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