Come rispondere a un atto di forza? Lo scontro di questi giorni in Statale sul numero chiuso ha imposto questo quesito. L’atto del rettore, avverso la volontà formale dei dipartimenti – e quindi della maggioranza dei professori, ricercatori, studenti e così via –, ha imposto dall’alto l’idea lanciata dal Prof. Corrado Sinigaglia, preside della facoltà di Studi Umanistici, di introdurvi il numero chiuso. Ciò va contro ogni idea che si possa avere di democrazia e ascolto, cose fondamentali in Università, cose che è proprio quest’ultima a dover portare avanti e insegnare. Il rettore si è fatto specchio di un ambiente in cui vanno fatte scelte veloci, celeri, poco pensate, senza confronto, scelte imposte dall’esigenza economica. E gli studenti? Devono subire. Almeno, così è secondo il rettore e 18 membri del Senato Accademico.
Chiudere l’accesso pure alla facoltà di Studi Umanistici rende il nostro Ateneo quasi totalmente a numero chiuso. Che significa questo? Che l’Università degli Studi di Milano non è più pubblica, in quanto rinuncia a un proposito fondamentale per considerarsi tale: l’apertura a tutti coloro che vogliono un’istruzione superiore, anche in tarda età. È il compimento pieno di un’Università fondata esclusivamente sulla professionalizzazione degli studenti e quindi sull’utile economico. Gli abbandoni continueranno a esserci, perché il problema non è relativo ai troppi iscritti, ma all’organizzazione. Per risolverlo sarebbero bastati pochi provvedimenti, che avrebbero migliorato davvero la didattica del nostro ateneo e fatto calare gli abbandoni. Perché i problemi si risolvono non chiudendo gli accessi, ma migliorando gli spazi, chiedendo al Ministero di ripensare il sistema dei punti organico per assumere più docenti, cercando di aprire l’Università a più persone possibile. Inoltre così facendo si dà un messaggio ben chiaro: non c’è futuro nel mondo accademico. L’età media dei professori in Italia è una delle più alte nel mondo e il sistema di chiamata è farraginoso e deteriore; eppure, di fronte alla possibilità di ampliare il corpo docente, così da accogliere tutti coloro che vogliono studiare materie umanistiche, si preferisce la scorciatoia: chiudere gli accessi e insieme le speranze di chi studia e magari vorrebbe fare carriera accademica. Chiedetevi come sia possibile che tra i vostri e miei compagni di studio quasi nessuno aspiri a intraprendere la carriera accademica.
Quindi, che fare? L’unica soluzione, a questo punto, è una dichiarazione congiunta di tutte le liste di tutti gli studenti rappresentanti nei vari dipartimenti e facoltà di piena sfiducia verso il rettore. Perché chiudere Studi Umanistici non è cosa secondaria: significa dare all’Università un ruolo che non le appartiene. A un atto di forza, insomma, si deve rispondere con un atto di ragione, seguendo le stesse identiche armi usate dal rettore: le istituzioni. In cui ci sono anche gli studenti, vorrei ricordarlo. Ed è ora che si facciano sentire ancora più forte. Di certo c’è che Vago si sta rivelando un pessimo rettore. Forse, dopo 6 anni di mandato, è l’ora che glielo si faccia notare.