Anna Politkovskaja, una “donna non rieducabile” interpretata da una donna educata da una vita nel teatro. Ottavia Piccolo viene sorpresa nel camerino del Teatro Ringhiera da tre tigresse d’eccezione: Ilaria, Greta e Camilla.
Uno si immagina le stelle del cinema e del teatro lontane e inavvicinabili, invece poi capita di raccogliere l’estemporanea sfacciataggine di braccarne una all’uscita del suo spettacolo, incastrarla mentre compra delle focaccine a concederti un’intervista e ritrovarti così nel suo camerino a fare due chiacchiere su arte e recitazione.
Il prologo della nostra intervista a Ottavia Piccolo è più o meno questo. Ci accoglie nel suo camerino del Teatro Ringhiera, dove tra un’ora si esibirà in Donna non rieducabile, adattamento del regista Silvano Piccardi della pièce di Stefano Massini sulle vicende della giornalista russa Anna Politkovskaja in Cecenia. La Anna che Ottavia porta sulla scena è una donna di estremo coraggio, forza e dignità umana. Così la prima domanda che le poniamo è: com’è avvenuta la scelta di interpretarla? Come ha lavorato per costruire il suo personaggio?
«Conoscevo un po’ Anna Politkovskaja: avevo letto un suo libro, Cecenia. Il disonore russo, e quando è morta ho seguito molto la vicenda sui giornali. Qualche mese dopo Massini mi ha mandato questo testo, che ha tratto dagli scritti di Anna. In accordo con il regista, nello spettacolo abbiamo mantenuto un certo “distacco”: più che interpretare Anna Politkovskaja, direi che la racconto. Non faccio quasi alcun tipo di immedesimazione, e trovo che per un testo e un argomento di questo genere sia giusto non caricare il pubblico di troppo pathos».
Una scelta che deriva dalla natura del testo stesso di Massini, il quale – come ci spiega Ottavia – non indugia nello psicologismo, non si sofferma mai sul dire “qui lei pensa così, qui pensa cosà”. Piuttosto, presenta delle istantanee; il racconto prende sempre avvio da immagini, che sono pensate come schegge di uno specchio rotto. L’autore non cerca di ricostruire l’insieme, ma vuole lasciare che la storia rimanga come un puzzle impazzito.
Anna Politkovskaja fu inviata per la prima volta in Cecenia dal governo russo. Dopo i suoi primi articoli di denuncia le fu revocato il permesso, ma lei continuò ad andare lì di nascosto, mascherandosi da cecena per passare il confine. I civili ceceni, quelli che subivano sia l’invasione russa sia l’azione dei terroristi ceceni che volevano l’indipendenza, le raccontavano testimonianze di quello che accadeva, le facevano avere cassette, nastri, fotografie. Anna sentiva di non poter tacere, di non potersi impedire di dare voce a quelle persone che avevano fiducia in lei. Scrisse: la sua storia è questa.
«Giovanni Falcone diceva una cosa molto bella» dice Ottavia, «che è inutile chiedersi che cos’è il coraggio: non è altro che capire cos’è la paura e cercare di gestirla, altrimenti è incoscienza. Anna non era incosciente, sapeva esattamente a cosa andava incontro, sapeva di essere in pericolo, ma questo non le ha impedito di continuare a testimoniare, raccontando quello che vedeva. In tutti i suoi articoli scriveva semplicemente quello che vedeva, senza dare interpretazioni».
Adesso sono quasi dieci anni che Ottavia porta in giro per l’Italia e all’estero Donna non rieducabile. Le chiediamo com’è lavorare con il regista Silvano Piccardi.
«Piccardi ha una grande abilità, quella di saper estrarre il meglio da un testo. Non ha fatto grandi cambiamenti, ma ha tagliato alcune istantanee e…», comincia a rispondere Ottavia, ma qualcuno interrompe bussando alla porta. Lupus in fabula: «Ah, è arrivato il regista!».
«Avete delle domande anche per me?», chiede Piccardi, ma prima che possiamo aprire bocca Ottavia replica: «No, non vogliamo niente da te: rimaniamo tra donne!». Così Piccardi si dilegua e noi riprendiamo la conversazione, domandando com’è stato invece il rapporto con l’artista Floraleda Sacchi, che ha composto le musiche e suonato in scena.
«Dunque, dieci anni fa esisteva un movimento di donne chiamato “Usciamo dal silenzio”. In occasione di una grande festa mi chiesero se avevo qualcosa da rappresentare; io non avevo niente di pronto, ma Massini mi aveva appena inviato questo testo, e cosa c’era di meglio per “Usciamo dal silenzio” di una donna che era uscita dal silenzio, al prezzo della vita? Allora chiamai Silvano, sempre mio complice nelle cose complicate, e lui disse: “Bellissimo, bellissimo, bellissimo. Sai cosa ho pensato? Facciamo venire un’arpista”. Io risposi: “Ti prego, l’arpa no, è troppo mielosa, gne gne gne, che ci azzecca con Politkovskaja?”, ma lui replicò: “Dici così perché non conosci Floraleda: vedrai”. E infatti realizza queste musiche strane, disturbanti, a volte rumori; non usa l’arpa come ti aspetteresti, non c’è niente di barocco, niente di “gne gne gne”. Floraleda in scena c’è e non c’è, quasi non la vedi, però c’è la forza della sua musica.»
Notiamo che la collaborazione con Massini è ormai di lunga data. Che rapporto ha con i suoi testi? C’è forse qualcosa in particolare di essi che attira sia lei sia Piccardi?
«L’incontro con Massini è stato un caso, mi aveva fatto leggere delle cose e lì avevo visto che scriveva in un modo che mi interessava. Poi ha scritto Processo a Dio pensando già che potevo interpretarlo io, più tardi è arrivata questa Donna non rieducabile, e ancora ho fatto con lui La commedia di Candido, L’arte del dubbio, 7 minuti; ora stiamo portando in giro Enigma. Quello che mi piace di Massini – e, anche se non posso parlare per lui, credo anche a Piccardi – è che riesce a parlare degli argomenti più diversi, con una grande competenza, ma soprattutto usando sempre una forma diversa: Donna non rieducabile è scritto in un modo, come una poesia, altri come 7 minuti o Enigma sono scritti apparentemente come pièce classiche di conversazione. Attraverso la forma riesce sempre a scavare nelle questioni che abbiamo intorno: in Donna non rieducabile la libertà di stampa e di informazione, problema che non tocca solo la Russia ma purtroppo va molto “di moda”, in 7 minuti la dignità del lavoro… Non esiste una “maniera Massini” e questo è sempre interessante, perché non sai mai in anticipo dove andrà a parare.»
«Ora spero che qualcun altro scriva qualcosa, se no divento Massini-dipendente!» aggiunge ridendo. Guarda l’orologio e torna seria: tra poco deve salire sul palco. «Ultima domanda e poi vi caccio.»
Bene, vogliamo levarci un’ultima curiosità: Ottavia sembra capace di entrare in qualunque ruolo, ma nella sua carriera di attrice c’è mai stato un personaggio che le faceva resistenza?
«Una volta c’è stato un bellissimo testo di Roberto Cavosi, Rosanero, in cui il personaggio che interpretavo era una donna mafiosa. Lì ero io che facevo resistenza: mi sembrava troppo negativa. Questa donna acconsentiva che il suo compagno, il boss, uccidesse il suo fratello minore: ciò mi sembrava insormontabile. Poi insieme al regista abbiamo trovato non una giustificazione, ma una spiegazione per la sua ferocia, e così credo di esserci riuscita.»
È davvero arrivato il momento di sloggiare. Il tempo di scattare un paio di foto e poi ringraziamo, ci abbracciamo, ci salutiamo e, sulla porta, buttiamo lì che abbiamo appena riaperto un piccolo teatro… I suoi occhi scintillano e promette che verrà a trovarci alla Corte dei Miracoli. La aspettiamo, signora Piccolo!
intervista a cura di Greta Valentina Galimberti e Ilaria Iannuzzi
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