La Statale di Milano è ormai avviata a trasferire dalla sede di Città Studi all’area Expo di Rho tutti gli studenti delle cosiddette scienze dure, per essere a pieno contatto con lo Human Technopole, un enorme polo di ricerca guidato dall’Iit di Genova. Insieme alla Statale, anche l’Istituto dei tumori e il Besta si trasferiranno da Piola alla Città della salute, a Sesto San Giovanni. È legittimo chiedersi cosa resterà di Città Studi. E poi, cosa ne sarà dei tanti palazzi storici della Statale, che hanno subito pochissimi interventi manutentivi? Se lo chiede soprattutto chi vive in quella zona, che ha beneficiato della presenza nel suo tessuto urbano di Università, Ospedali e Istituti di ricerca, ma dovrebbe chiederselo anche chi studia in Statale.
Ci sono due ordini di problemi: da una parte bisogna capire se dove sorgevano le varie sedi universitarie ci saranno dei servizi nell’ambito culturale (residenze per studenti, biblioteche, mense…), mantenendo fede al nome del quartiere, o se esso sarà oggetto di speculazione edilizia; dall’altra se si svilupperanno a Rho, in una zona a vocazione per nulla universitaria, tutti quei servizi rivolti agli studenti e se i mezzi, con relativi abbonamenti, saranno adeguati nella frequenza e nei prezzi, così da favorire l’afflusso di circa 18.000 studenti a Rho. Chi studia come me dovrebbe cominciare a pretendere garanzie su questi punti. Viene da chiedersi anche perché il Governo non ha mai messo in campo fondi per rivalutare gli edifici storici di Città Studi, ridando valore a un quartiere interno all’area cittadina, di certo più raggiungibile di Rho. E poi, perché in questi anni non si è creata una collaborazione col Politecnico, anch’esso Università pubblica di eccellenza?
Si sa che le politiche economiche sono dettate da precise volontà. Se poi aggiungiamo che nel nostro Paese mancano politiche formative il quadro è completo. La verità è che non c’è interesse nella formazione culturale, né nell’eccellenza dell’Università pubblica: mancano prospettive politiche e quindi investimenti in tutto ciò che concerne le attività di formazione. Nell’attuale legge 240 che regola le Università i criteri per valutare la didattica sono abbandono degli studi, studenti in regola e internazionalizzazione: tutti dati che misurano la produttività, non la capacità di formare degli individui dotati di senso critico; le università sono concepite come centri di ricerca (preferibilmente finanziati da privati), con dei corollari di didattica, e in questo quadro rientra la creazione di questo campus. Insomma, le università pubbliche sono catene produttive di titoli che più in fretta si prendono, meglio è. Dove stiamo andando, però, non è dato saperlo.