La terra è blu come un’arancia

Quello delle unità linguistiche è un susseguirsi dall’esito felice, in cui ognuna si fa scegliere, con umiltà, sulla scorta della precedente, adeguandosi alle sue qualità, per poi far valere le proprie, in termini restrittivi, rispetto alla seguente.

Arancia blu«Automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero»[1] recita André Breton nel Manifesto surrealista, rivendicando la portata di rottura del proprio modus operandi rispetto alle convenzioni sintattiche e semantiche del codice linguistico. Tuttavia, la volontà di prescindere dal livello normativo di una lingua storico-naturale rende tanto più manifesti i principi generali sottesi al funzionamento del linguaggio, in quanto potenzialità trasversale al genere umano, intimamente connessa all’attività del pensiero.

A titolo esemplificativo, si consideri proprio un verso surrealista, «la terra è blu come un’arancia».[2] L’effetto destabilizzante ricercato da Paul Éluard è garantito dall’incoerenza tra il secondo termine di paragone e le aspettative di senso rispetto al prosieguo lineare della comunicazione, ingenerate dal fatto che, all’interno della catena verbale, sussistono dei rapporti di forza: ogni elemento è accordato con quello precedente e, in virtù del proprio contenuto grammaticale e semantico, restringe il campo d’azione di quello seguente. D’altro canto, l’attuazione di un elemento in una certa posizione implica una scelta preventiva entro un paradigma, che comprenda tutti gli elementi selezionabili per quella posizione. Éluard allarga l’inventario dei sostantivi eleggibili senza sottoporlo al vaglio della consequenzialità, sceglie “arancia” laddove l’aggettivo “blu” richiederebbe qualcosa come “cielo”, “acqua”, “mare” e perviene al traguardo dell’assurdo; emerge così, per contrasto, la necessità di incrociare i due schemi di relazione per assicurare un sostegno all’impianto comunicativo di una lingua. Per dirla con il linguista svizzero Ferdinand de Saussure, infatti, le unità linguistiche interagiscono costantemente secondo due modalità, associativa e sintagmatica:

Da questo duplice punto di vista, una unità linguistica è comparabile a una parte determinata di un edificio, ad esempio una colonna; questa si trova da un canto in un certo rapporto con l’architrave che sorregge; tale organizzazione delle due unità egualmente presenti nello spazio fa pensare al rapporto sintagmatico; d’altra parte, se questa colonna è d’ordine dorico, essa evoca il confronto mentale con altri ordini (ionico, corinzio, ecc.), che sono elementi non presenti nello spazio: il rapporto è associativo.[3]

Tali categorie furono recepite dalla scuola strutturalista nei termini di “asse paradigmatico” e “asse sintagmatico”. Se il primo implica delle relazioni potenziali, in astratto, il secondo concerne le strutture che le traslano in atto e deve pertanto assicurare la coerenza delle combinazioni, in cui ogni elemento è determinato dalla posizione che occupa. Un susseguirsi dall’esito felice, quello delle unità linguistiche, in cui ogni ognuna si fa scegliere, con umiltà, sulla scorta della precedente, adeguandosi alle sue qualità, per poi far valere le proprie, in termini restrittivi, rispetto alla seguente.

Dopotutto, anche l’I Ching dice che «per ottenere di essere seguiti bisogna innanzi tutto sapersi adattare», e lo studio del linguaggio offre buoni spunti per avvalorare questa tesi.

In linguistica, infatti, il riferimento a una sequenza investe anche un’altra sfera di interesse, quella della tipologia sintattica, che permette di individuare delle proprietà ricorrenti nella struttura delle lingue, a prescindere dalle loro affiliazioni genetiche e a partire dall’ordine dei costituenti principali della frase. In questo senso, si prendono in considerazione le reciproche posizioni di soggetto (S), predicato verbale (V) e complemento oggetto (O), che danno luogo, in linea teorica, ad un ventaglio di sei combinazioni: SVO, SOV, VSO, VOS, OVS, OSV. La distribuzione statistica, tuttavia, attesta il predominio di SVO e SOV e limita l’incidenza di VSO alle lingue camito-semitiche quali arabo ed ebraico, mentre gli ultimi due ordini sono pressoché irrilevanti. Le ragioni del predominio di SVO e SOV sono da rintracciarsi nella condizione basilare per cui il tema, ciò di cui si parla, coincide naturalmente con il soggetto ed è seguito dal rema, ciò che si dice in proposito. Entrambi gli ordini presentano il soggetto in prima posizione e soddisfano anche due presupposti, che paiono sottostare alla sintassi delle lingue del mondo: il principio di precedenza, per cui il soggetto, data la sua priorità logica, deve precedere l’oggetto, e il principio di adiacenza, per cui l’oggetto deve essere immediatamente contiguo al verbo, data la sua dipendenza diretta da quest’ultimo.

Un ulteriore e sorprendente risultato degli studi tipologici constata, inoltre, l’esistenza di correlazioni tra l’ordine dei costituenti principali S, V e O e la collocazione posizionale degli altri elementi della frase, che può essere predetta con un buon margine di correttezza, stabilendo tra loro un rapporto di implicazione. Tale metodo ha condotto all’elaborazione dei cosiddetti “universali implicazionali”, tra i quali spicca, per ricorrenza e validità, la seguente formulazione: SOV ⊃ (AN ⊃ GN), che si legge: “se una lingua ha l’ordine SOV e in quella lingua nel sintagma nominale l’aggettivo precede il nome (AN), allora il genitivo (complemento di specificazione) precederà certamente il nome che gli fa da testa”[4]. Vale anche il suo parallelo, per cui se una lingua ha l’ordine VSO e se l’aggettivo segue il nome, allora il genitivo seguirà certamente il nome.

Per semplicità, si è deciso di considerare soltanto la reciproca posizione di V e O nel distinguere due tipi linguistici fondamentali, a seconda della collocazione della testa, preminente nel sintagma, rispetto agli elementi modificatori. Da un lato, le lingue OV presentano l’ordine modificatore-testa e tale tendenza dà non solo indicazioni sulla precedenza dell’aggettivo e del genitivo rispetto al nome, ma prevede anche l’anteposizione del possessivo, dell’avverbio e della frase relativa. Si veda un esempio dal turco, che costruisce rigorosamente secondo questo schema: “Istanbula gelen vapur”, letteralmente “a Istanbul veniente battello”, con spostamento a sinistra del costrutto relativo, simmetrico a quello usuale in italiano “il battello che viene a Istanbul”. L’italiano rientra, d’altro lato, nel novero delle lingue VO, che alla testa fanno seguire il suo modificatore, presentando l’aggettivo, il genitivo, il possessivo e la frase relativa dopo il nome. E tuttavia, le lingue sfuggono spesso a una o più voci di questi parametri – l’italiano stesso pone il possessivo prima del nome – oppure, come il latino, godono di una più ampia possibilità di combinazioni; ciò che i linguisti chiamano “incoerenza tipologica” è più che altro una rivendicazione di libertà, di creatività e di inesauribile vitalità, affinché ogni unità linguistica, che sia posta prima di o dopo qualcosa, possa trovare una collocazione nella sequenza ordinata del linguaggio ed esprimere se stessa a beneficio della comunicazione tra uomini. A volte è prevedibile, a volte inaspettato, ma sempre «il seguire ha sublime riuscita», anche in linguistica.

Note

[1] André Breton, Manifesto del Surrealismo, 1924.

[2] Paul Éluard, L’Amour la Poésie, 1929.

[3] Dall’introduzione, traduzione e commento a Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, a cura di Tullio de Mauro, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 149-150.

[4] Si veda a questo proposito G. Berruto, M. Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo, UTET Università, Novara 2011.

di Elena Battaglia

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