Anthony Caleshu è un poeta statunitense e docente di Scrittura Creativa. Dopo aver completato il MFA in Scrittura Creativa alla University of Alabama si è trasferito in Irlanda per seguire la sua fidanzata di allora, diventata poi sua moglie. Nella terra che Kavanagh definiva come possidente di un proprio esercito di 10.000 poeti, precisamente alla National University of Ireland di Galway, ha conseguito il dottorato. Dal 2003 detiene, prima come assistente e poi come titolare, la cattedra di Poetry and Creative Non-Fiction alla University of Plymouth (Devon, UK). Anche se ha trascorso la maggior parte della sua vita fuori degli Stati Uniti, nella sua scrittura sente ancora l’influenza della tradizione americana.
Come e perché hai deciso di diventare poeta? Si può dire che tu l’abbia deciso in qualche modo, a un certo punto?
Come molti scrittori, ho iniziato a prenderla seriamente per via di un’insegnante, Lee Upton, una grandissima poetessa, scrittrice e critica. Ho studiato con lei al Lafayette College della Pennsylvania durante la laurea triennale, e il suo entusiasmo e incoraggiamento, così come un paio di piccoli premi letterari del College, mi hanno indotto a pensare alla poesia come a un mezzo di sostentamento. Non sono mai pianificato di diventare un poeta, ma l’ossessione che ho per l’editing e la revisione del linguaggio – la gioia assoluta che mi pervade quando riesco a mettere le parole giuste nell’ordine giusto! – significa che tutto questo è ciò che amo inseguire di più. Sono diventato Professore di Poesia a Plymouth da più di cinque anni, ormai, ma ho ancora uno strano rapporto con questo titolo (come scrisse Heaney, è un titolo che ti è dato in opposizione a uno col quale ti identifichi tu stesso). Tutto ciò che posso realmente fare è scrivere nel modo migliore che posso… e sperare che ciò che scrivo sia nel campo della poesia, anche quando si tratta di prosa.
Victor Poems è un titolo complesso e particolare per una raccolta di poesia. Puoi spiegarci il suo significato e la ragione per cui hai deciso di intitolare così il tuo lavoro?
Vincitore (traduzione letterale del vocabolo victor), come dice una delle poesie, “significa così tante cose per così tante persone”. Ci sono state alcuni Vincitori straordinari in letteratura. Non tutti erano esseri umani magnanimi. Il Vincitore, e l’uomo che persegue esserlo, potrebbe essere simile a Dio, ma lui (e loro) sono anche auto-investiti e ingaggiati in una versione di mascolinità che risulta problematica. Sono “eroi di un dramma vuoto”, come canta la voce nella prima poesia, e ancora si tratta di un dramma che trovo affascinante. La denotazione di “Victor” come vincitore, qualcuno da celebrare, è messo in evidente tensione fin dall’inizio, e spero che le poesie percorrano l’onda della tensione attraverso tutte le 42 parti che compongono la raccolta.
Come hai iniziato a scrivere Victor Poems? In che modo ti è arrivato alla mente?
Una conversazione con un buon amico mi ha fatto pensare al “Vincitore” come un amico che valesse la pena inseguire. Ciò che può far desistere una persona da questo proposito (la famiglia, eccetera) per la posizione non certo invidiabile (almeno nelle vite di questi narratori) delle esplorazioni artiche della compagnia tra gli uomini (proprio il tema del vostro numero) è diventato il soggetto di queste poesie più di tutto il resto.
Da dove vengono le tue poesie, e in che modo? Qual è il tuo processo di scrittura?
Io gioco molto col linguaggio. Sono più che altro un revisore e un editor… un manipolatore di parole affinché facciano ciò che voglio che facciano (esprimere una sorta di gioia nei suoni e nel significato che le costruiscono). Le mie poesie per la maggior parte saltano fuori all’improvviso, attraverso e per mezzo di un frammento di linguaggio che mi permette di entrare in un mondo immaginario – una finzione con la quale spero abbia una qualche rilevanza o una qualche relazione – al mondo reale… ma che, alla fine, trova una certa libertà nella finzione.
Cos’è la poesia per te?
Un trasferimento di energia dallo scrittore al lettore.
Tu non sei solo un poeta, insegni anche ad altre persone a scrivere. In letteratura sentiamo spesso che al giorno d’oggi è difficile trovare buoni scrittori e poeti nel vero senso della parola, persone che giochino con le parole e la lingua per costruire qualcosa di veramente bello solo per il piacere di farlo, senza pensare al tornaconto monetario. Pensi che si possano ancora trovare, da qualche parte?
Io credo che tu abbia colpito nel segno. La poesia è più di tutto il resto piacere (“delizia” è la definizione classica). Troppo spesso perdiamo quel senso di piacere, e la poesia diventa solo qualcosa per cui “ne vale la pena”. I poeti e i critici del XX secolo, Pound a Barthes, hanno espresso qualcosa di ciò, e certo è che i migliori poeti là fuori lo sanno chiaramente… e ci coinvolgono (emozionalmente, persino fisicamente) con un linguaggio che è ambizioso aldilà del mondano, al di là del pratico e del prosaico – al di là della comunicazione di idee che si riducono semplicemente in informazioni – che è il modo in cui parliamo tra noi nel il nostro quotidiano. La poesia è un volo e una salvezza dal quotidiano.