Le foto di Victor Habchy del festival Burning Man narrano la costruzione di una realtà immaginaria, esperienza gioiosa e incendiaria in comunanza con gli altri. Il “Burning Man” è un evento nel corso del quale si concepisce ed edifica una città “a tempo”, una metropoli dedicata allʼarte e al sogno. Un luogo che ogni anno svanisce consumandosi simbolicamente nel rituale del rogo di un fantoccio, per poi rigenerarsi dalle proprie ceneri in una nuova esperienza comunitaria lʼanno successivo.
La compagnia, o la comunanza fra gli uomini, non è attualmente di moda in fotografia. Lʼuomo solo, lʼindividuo, prevale nei gusti estetici dei portfolio fotografici di quasi tutti i maggiori talenti emergenti che consulto. Mi trovo alla ricerca di unʼimmagine, di un progetto o di un autore contemporaneo in grado di raccontare con la fotografia lʼarmonia nella comunione con il prossimo. Molti, anzi, la maggior parte degli scatti in cui mi imbatto riguardano la solitudine nella collettività, ovvero il gruppo inteso come moltitudine di “soli”: persone, oggetti e personaggi collocati dentro scenari comuni, spesso algidi, che ci descrivono una quotidianità annoiata e soffocata. In questa dimensione piuttosto estesa della realtà ci si sente sospesi fra “il tutto” e “noi stessi”, mentre consultiamo uno scatto o un servizio che racconta con una certa aderenza la condizione delle nostre vite compresse, spesso inappagate e sovente collocate dentro schemi preimpostati e vincolanti. In questo genere di fotografia vi è una buona dose di adattamento a una realtà indigesta, che improvvisamente diviene di moda e in continua réclame di se stessa. Con una frequente ostinazione di genere “il solo” si manifesta come una condizione a cui imporre una critica attraverso la scelta dellʼesibizione di sé, ovvero: mostro, quindi contesto.
Ma dopo una discreta ricerca scovo gli scatti del Burning Man del 2014 di Victor Habchy e scopro così che la seduzione del “solo” si infrange contro lʼadunata creativa, a volte mistica e sicuramente antropologica del teatro. Il rito, lʼesperienza artistica collettiva e la genesi in comunanza coagulano gli animi, strizzando lʼocchio alla sovversione e passando attraverso la magia del fantastico.
La seduzione del “solo” si infrange contro lʼadunata creativa, a volte mistica e sicuramente antropologica del teatro. Il rito, lʼesperienza artistica collettiva e la genesi in comunanza coagulano gli animi, strizzando lʼocchio alla sovversione e passando attraverso la magia del fantastico.
Per chi non lo sapesse, il Burning Man è un festival annuale che si svolge nel Black Rock Desert del Nevada. Il sito ufficiale dellʼevento apre con queste parole: «A city in the desert. A culture of possibility. A network of dreamers and doers». Come è facile intuire, il Burning Man è molto più di un festival: è un movimento culturale esteso a tutte le forme di arte e riflessione possibili. I suoi organizzatori lo definiscono: «Una città in cui tutto ciò che accade è stato creato interamente dai suoi cittadini e partecipanti attivi dellʼesperienza». In questo evento si concepisce ed è edifica una città “a tempo”, la Black Rock City, una metropoli temporanea dedicata allʼarte e alla comunità; un luogo che ogni anno svanisce consumandosi simbolicamente nel rituale del rogo di un fantoccio, per poi rigenerarsi dalle ceneri in una nuova esperienza comunitaria lʼanno successivo. Negli scatti di Habchy troviamo un presente di felliniana memoria, un realismo magico certamente not fashionable, che ci racconta non una realtà compressa da cui è impossibile evadere, bensì la dimensione possibile che siamo in grado di produrre in comunanza con il prossimo.
Negli scatti di Habchy troviamo un presente di felliniana memoria, un realismo magico certamente not fashionable, che ci racconta non una realtà compressa da cui è impossibile evadere, bensì la dimensione possibile che siamo in grado di produrre in comunanza con il prossimo.
Lʼimmaginifico dellʼesperienza collettiva nelle immagini di Habchy, a tratti onirica, si impone ai nostri occhi con potenza e delicatezza, risvegliando la sopita consapevolezza che il gioco, la cultura e la fantasia condivisa ci possano spingere oltre qualsiasi confine. Queste fotografie ci raccontano di una dimensione in cui si pratica il disegno e lʼedificazione della realtà immaginaria, unʼesperienza che diventa gioiosa e incendiaria se vissuta in comunanza con il prossimo. Un prossimo magari solo e piccolo rispetto allʼimmensità dei suoi interrogativi, ma disponibile al gioco, allʼincontro e alla genesi comunitaria con lʼaltro.
www.burningman.org · www.victorhabchy.com
fotografie di Victor Habchy
articolo di Camilla Giannelli
Queste fotografie ci raccontano di una dimensione in cui si pratica il disegno e lʼedificazione della realtà immaginaria, unʼesperienza che diventa gioiosa e incendiaria se vissuta in comunanza con il prossimo. Un prossimo magari solo e piccolo rispetto allʼimmensità dei suoi interrogativi, ma disponibile al gioco, allʼincontro e alla genesi comunitaria con lʼaltro.