Quale momento migliore di questo per parlare della Compagnia fra gli uomini? È il titolo dellʼesagramma dellʼI Ching che ci terrà “compagnia” in questo numero e su cui, come di consueto, le diverse rubriche diranno la loro. Guarda caso, ci viene subito in mente un certo posto, qui a Milano, in cui fra non molto verrà forse aperto un circolo culturale, per dare una sede alla nostra rivista e permetterle di sfogarsi con tutte quelle iniziative per le quali, in mancanza di una casa, ha dovuto sinora disturbare vicini e lontani, fin oltre la frontiera dellʼIsvizzera (dovʼè stato estratto il tema di questo numero, durante la prima edizione del WopArt di Lugano). Lo spazio di cui parlo, per lʼintanto, cioè il teatro La Corte dei Miracoli, raduna a oggi una masnada di ragazzi che, maneggiando flessibili, seghe circolari, cazzuole e trapani, fanno tale contrappunto ai CD di Frank Zappa e Battisti di sottofondo che solo John con le bacchette in mano potrebbe seguirli! (Se non sapete chi è John, leggete la rubrica di musica!)
Insomma, che ragazzi studiosi di lettere, filosofia e altri ghiribizzi poco maniscalchi decidano – pur di perseguire le proprie passioni – di metter mano ai ferri, non è cosa da poco. Anzi, mi correggo… parliamo di ragazzi e ragazze! Persino il nostro sinologo di fiducia, Marcello Ghilardi, docente presso lʼUniversità patavina, conferma che in questo capitolo che lʼI Ching dedica agli “uomini”, si intende in realtà lʼumanità nel suo complesso, senza distinzione di genere. Per avvicinarci anche noi allʼOriente, allora, rubiamo le parole allʼAvesta e «celebriamo tutti gli esseri, maschili e femminili che sono tali», anche perché assistere a graziose fanciulle con in mano martelli e altri aggeggi perigliosi è proprio un bel vedere. Oddio, osservando la forma dellʼesagramma, qualche zuccone insiste sulla posizione dellʼunica linea yin (quindi femminile) allʼinterno della figura del simbolo che, per il resto, conta solo le linee yang a evocare lʼidea della comunanza virile, e che rovesciano lʼesagramma 7, in cui lʼimmagine era opposta e recava una sola linea maschile in mezzo a un cumulo di linee “spezzate”, cioè yin e femminee. Si trattava, in quel caso, del primo esagramma con cui è nata la nostra rivista, intitolato Lʼesercito… un bel salto dal numero 1 al numero 11 di questo bimestrale. Comʼè cambiata la situazione! Dacché un gruppo di individui apparentemente deboli andava alla ricerca di un condottiero forte, come si leggeva nel testo del primo esagramma, sfila ormai un branco di tigri che sembra poter accerchiare qualunque preda. E, guarda guarda, lʼesagramma di sviluppo a questo giro si chiama proprio: Il sovvertimento. La tigre, nata di carta e non ancora diventata legno (come il parquet testé costruito), sarà forse almeno di cartone?… Forse sì.
Si strapperebbe magari un sorriso al vecchio Mahatma, pensando che la forza della sua verità (così si può tradurre alla lettera il concetto di satyāgraha, basilare nel suo gruppo di seguaci dediti alla non-violenza) si innesca proprio dando credito allʼinvincibile debolezza della resistenza passiva. Un debole che, anche qui, tiene a bada i forti. In questo modo, sottolinea lʼI Ching, si sventa anche il pericolo che si creino delle fazioni antagoniste. Lo scopo è che gli uomini «che prima piangono e gemono», così almeno leggiamo sul testo, «poi ridano e si riconcilino». Non che noi prima si gemesse, intendiamoci, ma ridere e divertirsi quello sì, non ce lo si fa mancare.
Proprio i cinesi, invece, non sempre la buttano in caciara. Ebbe certo un che di commovente lʼalleanza fra i maoisti e le truppe del Kuomintang di fronte allʼemergenza di debellare la minaccia giapponese che invadeva lʼex Impero nel 1937, in vero stile metus hostilis da far estrarre il pollice in su al nostro Sallustio. Ciò detto, appena risolta la grana, i due partiti ripresero a suonarsele come prima, più di prima, e senza dirsi: “Tʼamerò”. Chiang Kai-shek piuttosto affermò: «I giapponesi sono una malattia della pelle, i comunisti una malattia del cuore». È anche vero che, sulla via delle spezie, il sapore di sale che ha sulla pelle la dermatite nipponica qualche somiglianza con il cancro della guerra civile cinese ce lʼaveva. Il nazionalismo giapponese dellʼepoca si sente anche nel sapore che hanno sulle labbra le parole di Mishima, secondo cui «ognuno di noi è estremamente debole quando si trova isolato». Forse il mattacchione per addormentarsi si era letto qualche paginetta dʼI Ching, e non cʼè stato verso di ronfare prima della scoperta che secondo lʼoracolo, al contrario, «la compagnia non deve essere una commistione di singoli o di cose, questo sarebbe un caos, non una compagnia». Il vecchio Yukio fece subito eco e ammonì: «La massa è unʼentità ambigua […] tutte le rivoluzioni sono suscitate e divampate dalla fiamma che si sprigiona nellʼanimo di un unico essere umano».
Ora, questa fiamma brucia anche negli elementi di cui si compone lʼesagramma: abbiamo Li, il fuoco, elemento che arde ma soprattutto risplende, il quale si innalza verso il cielo. Per non bruciare legno, carta e parquet possiamo rimanere sul significato dello splendore e della luce, spegnere lʼincendio nel fiume azzurro cinese e, esortati da Battisti, superare i fiumi azzurri, le colline e le praterie. Anche lʼI Ching lo fa, passando dallʼimmagine delle armi nascoste «sullʼalta collina antistante», simbolo delle faide ancora in corso, sino alla compagnia fra gli uomini «sulla pianura», cioè sulla base di un appianamento. Prendiamolo in parola e aiutiamo la nostra tigre delle nevi, bianca come la carta, nascosta comʼè fra gli alberi della Taiga (paesaggio che dà nome alla nostra associazione), ad aprirsi un varco. Lʼassociazione dʼaltronde vale come traduzione alternativa proprio della Compagnia fra gli uomini, così comʼè fornita da alcune edizioni dellʼI Ching (o I King che dir si voglia). Dove si potrà aprire tale varco, a Milano, in Oriente o in Isvizzera, lo lasciamo un poʼ al caso. Lʼimportante è che la radura si apra. È lì che filtra la luce, è lì che si accende il fuoco, prima di tutte le possibili speculazioni filosofiche sulla “radura” di cui parla Heidegger, che in tedesco si dice Lichtung, in francese clairière e in inglese clearing (licht, claire, clear rimandano tutti alla luminosità) e che semmai lasciamo alla rubrica di filosofia. Noi torniamo al nostro esagramma, amato anche da Confucio per il valore dellʼamicizia che sa sprigionare: «Dove due nellʼimo cuore interamente si comprendono – commentò il vecchio saggio – sono soavi e forti qual profumo dʼorchidee le parole». Non serve avere un giardino che profuma di orchidee e sentirsi Nero Wolfe per gettare un poʼ di luce anche su questo caso. È sufficiente fermarsi sulla soglia di casa, davanti al portone, poiché «lʼinizio di unʼunione tra uomini deve aver luogo davanti alla porta», come dice il libro divinatorio, e «tutti devono stare ugualmente vicini lʼuno allʼaltro».
Chiudiamo quindi evocando il grande maestro del tè di nome Li Naosuke, sperando profumino un poʼ, attraverso la carta, anche le sue parole…
Sia lʼospite sia lʼospitante hanno in cuore il desiderio di indugiare ancora un poʼ di tempo, ma quando finiscono i saluti di commiato gli ospiti escono sul roji, il giardino. Allora, senza parlare a voce alta, si esce silenziosamente, voltandosi a guardare indietro, e lʼospitante, fino a quando gli ospiti sono in vista, li osservi allontanarsi. Se allora si chiudono in fretta i battenti del cancello si perde la parte migliore dellʼintrattenimento della giornata.
di Federico Filippo Fagotto
Rer la realizzazione degli esagrammi, ringraziamo il Maestro Bruno Riva dell’associazione shodo.it