Alla compagnia fra gli uomini, Dian Fossey preferì quella dei primati. Dall’emozione di essere accettata da un gorilla, alla tragedia di essere annientata dall’uomo. L’esempio di una donna per cui il valore della vita era la protezione del futuro di una specie.
Non molto tempo fa, si è tenuta una mostra del National Geographic al Museo di Storia Naturale di Milano: una raccolta delle migliori foto scattate per la rivista negli ultimi anni. Una in particolare mi ha colpita, risalente a circa trentʼanni fa, che ritraeva una donna tra i gorilla di montagna (Gorilla gorilla beringei).
La donna era Dian Fossey. Nata nel 1932 e originaria della California, Dian è interessata fin dai sui primi studi alla disciplina veterinaria e alla zoologia, ma trovando difficoltà in materie come chimica e fisica è costretta a trasferirsi in un altro college per studiare terapia occupazionale.
Dopo anni passati a desiderare lʼAfrica, si indebita per visitare la terra dei suoi sogni. Nel 1963, durante i mesi in Congo e Tanzania, conosce Louis e Mary Leakey e si aggrega alla spedizione in Kenya con Joan e Alan Root per un servizio fotografico sui gorilla. Da quel momento Dian fu affascinata dai primati a tal punto da voler pubblicare articoli e foto riguardanti quel primo incontro. La loro individualità combinata alla timidezza del loro comportamento rese travolgente il contatto coi grandi primati. Dian lasciò il Kenya con molta riluttanza, ma con la certezza che in qualche modo sarebbe tornata per apprendere il più possibile le abitudini dei gorilla che abitavano le montagne nebbiose.
Leakey rimase impressionato dal suo interesse e dalla sua determinazione nel voler ritornare in Africa per studiare da vicino i gorilla di montagna. Così, alla fine del 1966, Leighton Wilkie, finanziatore anche della campagna di studio di Jane Goodall sugli scimpazè, confermò di voler promuovere una ricerca a lungo termine sulle antropomorfe. Ottenuti i fondi, Dian partì alla volta dellʼAfrica, con lʼunico interesse di studiare da vicino i gorilla. Con lʼaiuto di Alan Root, riuscì a coprire la distanza tra Kenya e Congo per raggiungere lʼarea di studi allʼinterno del Parc des Virungas a Kabara. Lì cominciarono le sue osservazioni dei primati presenti sulla montagna.
I gorilla vivono in unità sociali coese e stabili, chiamate gruppi, i quali variano di composizione in rapporto a nascite, morti e trasferimenti degli individui. Ogni gruppo è formato da due a circa venti esemplari. Esso presenta in particolare un silverback, maschio anziano e leader unificante del gruppo; un blackback, maschio immaturo; tre o quattro femmine in età feconda e da tre a sei membri immaturi. Lʼorganizzazione dei gorilla è strettamente famigliare e rafforzata da forti vincoli di parentela, ma una volta raggiunta la maturità sessuale maschi e femmine tendono ad allontanarsi dal gruppo (ingressi e uscite da un gruppo sono determinati da un vantaggio per la comunità e per il singolo individuo). La Fossey riesce pian piano a essere accettata dai gruppi di gorilla, che studia soprattutto stimolando la loro curiosità o mettendo in atto comportamenti simili ai loro, imparando a non spingerli oltre il livello di tolleranza e accettandoli nelle loro condizioni.
Nel 1967, i suoi studi furono momentaneamente interrotti a causa di una ribellione nello Zaire (ex Congo Belga), che la costrinse a spostarsi, per proseguire le sue ricerche, nel Parc National des Volcans in Ruanda. Allʼinterno del Parc des Volcans si trovava una tribù semipigmoide, i Batwa, le cui principali occupazioni erano il bracconaggio e la caccia; queste attività ebbero ripercussioni sul lavoro della ricercatrice nel parco.
Dian, il 24 settembre del 1967, vide un luogo suggestivo e adatto per la ricerca dei gorilla nei Virunga, e lì fondò il Karisoke Research Centre (“Kari” in omaggio al Karisimbi e “soke” per il Visoke), con una dozzina di guardie e un sovrintendente. Da quel momento, per lei, non ci furono che i gorilla di quella zona. Lʼunico ostacolo alla sua ricerca fu il bracconaggio e la depauperazione della foresta in favore dellʼagricoltura.
A Karisoke la studiosa concentrò le proprie osservazioni su circa 50 esemplari, che identificò come Gruppi 4, 5, 8 e 9 in base allʼordine di contatto. Fin dal principio ci si accorse di quanto quelle creature fossero straordinariamente pacifiche, tranquille e curiose; caratteristiche molto distanti dallʼimmaginario comune che le riguardava e che contrastavano coi motivi per cui venivano predate.
Il Gruppo 5 vide succedersi numerose generazioni, che permisero alla studiosa di approfondire le La compagnia dei gorilla 13 dinamiche sociali dei gorilla, ad esempio il loro modo di comunicare uno stato di benessere o di affrontare il lutto per la perdita di un componente. Dian rimase colpita dal Gruppo 5, dalla sua elevata organizzazione e da come la forza dei legami di parentela abbia tenuto unita nel tempo la famiglia dei gorilla: «Il successo di questo gruppo rimane un esempio comportamentale per la nostra società».
Anche lo studio del 4, contemporaneamente al 5, diede dei risultati straordinari, facendole conoscere e avere contatti ravvicinati con un esemplare che chiamò Digit. Questo è il primate che si spinse di più verso il contatto umano, durante la sua transizione a blackback. Successivamente Digit, raggiunta una certa indipendenza, prese il compito di sorveglianza del gruppo. Il contatto fisico che ci fu tra lʼesemplare e la ricercatrice dimostrò la capacità dei gorilla di interagire con esseri umani, a patto che si adeguino alle loro modalità comportamentali. Questo fece esultare la studiosa, che comprese di essere stata accettata; facendo emergere una volta di più la loro capacità di accogliere nella propria famiglia anche il “diverso”. La pubblicazione di materiale fotografico su questo gorilla diede maggior impatto al lavoro della Fossey, ma creò anche un nuovo problema: il turismo nelle aree protette.
Nel periodo invernale (1977-78), durante il momento di maggior allerta a causa del turismo e del bracconaggio, Digit fu trovato mutilato nella foresta; dopo unʼattenta analisi del percorso dei bracconieri, si scoprì che il gorilla non era la vittima predestinata, ma che aveva sacrificato la propria vita per dar modo alla sua famiglia di scappare. Dian per molto tempo non riuscì a darsi pace per la sua scomparsa, mentre il Gruppo 4, dopo la tragedia, tornò a condividere la propria intimità con la studiosa. Poco dopo la morte di Digit, Dian varò il Digit Found, fondo destinato alla protezione dei gorilla tramite le attività delle pattuglie anti-bracconieri nel parco.
Dian Fossey fu trovata assassinata nella sua capanna il 27 dicembre 1985 e fu sepolta accanto a Digit e a molti altri gorilla uccisi dai bracconieri. Lʼultima annotazione del suo diario riporta: «Quando ti rendi conto del valore della vita, rimugini meno su ciò che è passato e ti concentri di più sulla protezione del futuro».
La ricercatrice riteneva fondamentale non tanto cambiare il modo di pensare delle popolazioni locali nei confronti dei gorilla, ma piuttosto far capire lʼimportanza naturalistica e idrografica dei Virunga.
Infatti, se nel 1959-60 George Schaller aveva stimato che la popolazione dei gorilla si aggirasse intorno ai 400-500 esemplari e la Fossey nel 1981 aveva censito 242 gorilla, oggi invece, dopo il suo intervento, la popolazione ha avuto una crescita fino a circa 800 individui.
Mi domandano sovente quale sia stata l’esperienza più gratificante che io abbia vai vissuto coi gorilla. È una domanda cui è estremamente difficile rispondere, perché ogni ora trascorsa coi gorilla è fonte di appagamento. La prima volta che ebbi la sensazione di avere attraversato una barriera intangibile tra l’uomo e le scimmie antropoidi fu una decina di mesi dopo l’inizio delle ricerche a Karisoke. Peanuts, il maschio più giovane del gruppo 8, stava mangiando a non più di sei passi di distanza, quando d’un tratto si fermò, voltandosi a fissarmi. L’espressione dei suoi occhi era insondabile. Affascinata, ricambiai lo sguardo – uno sguardo in cui mi sembrava d’intuire accettazione mista a curiosità. Un sospiro profondo mise fine a quest’indimenticabile momento, e Peanuts senza fretta riprese a mangiare. Giubilante, tornai al campo e spedii un cablogramma al dottor Leakey: SONO STATA FINALMENTE ACCETTATA DA UN GORILLA.
Bibliografia
Dian Fossey, Gorilla nella nebbia, Einaudi, Torino 1997.
Robin S. Doak, Dian Fossey: Friend to Africa’s Gorillas, Heinemann 2014.
Wil Mara, Dian Fossey: among the Gorillas, Childrenʼs Press, 2004.
Corinne Nadin, At Home with the Giant Gorillas, Millbrook Press, 2002.