Woyzeck o del seguire la natura

Il ritratto cinematografico offerto da Werner Herzog si presta a riflessioni etiche sui concetti di virtù e natura

Woyzeck

«Woyzeck, tu sei un brav’uomo; però, Woyzeck, non hai un briciolo di morale»: così parla il capitano della guarnigione mentre il protagonista gli completa la rasatura nella prima scena della pellicola. Poco più di settanta minuti dopo il soldato Woyzeck finirà con l’accoltellare a morte la donna con cui convive, rea di averlo tradito per un ufficiale più avvenente. Questa l’esile trama del film – dall’omonimo nome del protagonista – di Werner Herzog del 1979, tratto dall’opera teatrale (1836-37) di Georg Büchner rimasta incompiuta dopo la morte dell’autore e ispirata al reale fatto di cronica verificatosi nell’ottocentesca campagna prussiana che ebbe per sciagurato protagonista Johann Christian Woyzeck.

Si è trattato di un gesto convinto, ragionato, consapevole? La risposta è difficile a darsi: sono delle voci sussurrate dalla terra e dal vento, voci che solo Woyzeck e nessun altro può udire, a suggerirgli di «ammazzarla». Klaus Kinski, il principale interprete, personaggio tanto controverso nella vita personale quanto straordinario nei ruoli che Herzog gli affida, ripete quella parola più volte, ossessivamente: l’espressività è estrema, brutale, i lineamenti tesissimi, lo sguardo perso e tormentato. Non aveva altra scelta dunque Woyzeck? Era un atto inevitabile? Una giusta punizione, un necessario sacrificio?

Ritorniamo al dialogo iniziale con il capitano, uno dei personaggi ricorrenti dell’opera insieme a un medico sempre teso a ridurre il protagonista a un caso clinico particolarmente interessante. Kinski – sì, perdonate la licenza: ma questa volta attore e personaggio sembrano davvero coincidere – afferma, come per giustificarsi davanti ai rimproveri dell’altro, che «noi gente comune che non ha virtù, ci viene così per natura, […] se fossi un signore e avessi un bel cappello e l’orologio, certo che sarei virtuoso». Tralasciando la credibile interpretazione dell’opera come denuncia sociale, ecco che emergono vividi, nelle infinite possibilità del loro significato, i termini “morale” e “virtù” da una parte e “natura” dall’altra. Woyzeck evidentemente segue la seconda e aderisce al suo richiamo: è il giogo originario dell’uomo, dal quale egli può però liberarsi facendo uso della ragione, trionfatrice sovrana sugli istinti bestiali. Ancora lo stesso filo conduttore nello studio medico: all’accusa dell’altro «Ti ho visto Woyzeck, ha pisciato per strada, ha pisciato contro il muro come un cane», Woyzeck debolmente replica che «è la natura che ti fa venire voglia».

Così proposta, si tratta di una visione tutt’altro che originale e piuttosto semplicistica, già più volte percorsa con grande ricchezza di sfumature nella storia del pensiero; forse però ancora capace di offrire spunti, a patto di accettare di formulare più che tesi conclusive questioni interessanti.

Una prima possibile domanda è la seguente: vi è davvero sempre e comunque tensione tra virtù e natura? Senza nemmeno soffermarsi sulle qualità della natura secondo Herzog – bestiale, misteriosa, metafisica – si potrebbe innanzitutto affermare che la virtù è una facoltà naturale dell’uomo, e basterebbe questo a sciogliere il contrasto. La si può allora intendere come un valore artificiale, insegnato o imposto dalla società a ogni suo membro; ma uno sguardo penetrante sembra svelare una segreta alleanza più che un furioso combattimento tra natura e virtù. Se la prima infatti spinge la compagna di Woyzeck alla lussuria e il protagonista all’omicidio, una forma di morale particolarmente severa (del tutto inaccettabile per i nostri canoni) può comprendere, se non giustificare, il gesto efferato del soldato; l’atto della donna può essere considerato immorale, la sua condotta non virtuosa e dunque meritevole di essere punita. In questo senso estremo, l’omicidio finale non sarebbe altro che l’esecuzione della condanna: un atto di giustizia e dunque virtuoso, attraverso il quale Woyzeck obbedisce alla natura ma accoglie nello stesso tempo la muta suggestione della società. La riflessione sul personaggio interpretato da Kinski e sul suo comportamento non è inutile, se non altro perché ci costringe a risemantizzare continuamente questi termini di uso quotidiano. Prima si era parlato di ragione e istinto; ma in fondo l’atto di Woyzeck contiene un elemento di entrambe, poiché all’istinto delirante si accompagna la premeditazione (l’acquisto del pugnale, l’aver condotto la vittima fino allo stagno, al riparo da occhi altrui, con una menzogna).

Quello di Woyzeck non è che un esempio, tra l’altro tratto da un fatto di cronaca di cui non sembrano chiari i dettagli; avventato dunque sarebbe il tentativo di trarre per forza una morale unica e definitiva. Ma se proprio occorre tirare le fila del breve discorso, ecco una possibilità: Woyzeck ci mostra che il tanto declamato conflitto tra natura e ragione non sempre è tale, ma che le due possono conoscersi e allearsi, l’una al servizio dell’altra; con un risultato non necessariamente positivo. Si potrebbe dunque affermare, che l’autentico Male – sempre che lo si voglia considerare ontologicamente consistente – non sia un esasperato seguire esclusivamente la natura (o la ragione); ma piuttosto un corrotto e degenerato rapportarsi tra le due.

di Marco Barbieri

Autore

  • Studente di Cinema presso la Civica di Milano dopo la laurea in Storia, è anche appassionato di filosofia e religione, aggiornato sulle ultime novità musicali e, ultimo ma non per importanza, pessimo giocatore di tennis.

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