Vi proponiamo una nuova intervista con Pierfranco Bruni, una vera celebrità del panorama editoriale italiano ed estero, già candidato al Nobel per la Letteratura.
Professor Bruni, sono felicissima di poter parlare con lei dello straordinario libro dedicato a Pirandello che ha da poco pubblicato, dal titolo Luigi Pirandello. Il tragico e la follia. Un testo che sarebbe riduttivo definire un saggio letterario o di critica letteraria. In questo libro lei prende per mano il lettore e lo accompagna nel mondo pirandelliano alla scoperta delle sue meraviglie, un po’ come fa Virgilio con Dante nella Commedia. Pirandello viene, quindi, visto attraverso i suoi occhi e la sua suggestiva poetica intrisa di sapori orientali, di antropologia e di magia. Uno degli aspetti del pensiero pirandelliano che si ritrova maggiormente nella sua poetica è la “mediterraneità”. L’amore per la propria terra che vive e rivive nella scrittura. Come specifica nel libro «in Pirandello il personaggio uomo diventa il personaggio maschera. La maschera è persona». L’uomo pirandelliano impersona l’escluso che dà vita al personaggio per rinascere a nuova vita. In che misura la solitudine gioca un ruolo rilevante nel concetto della maschera pirandelliana?
La solitudine è uno dei temi portanti in Pirandello. La solitudine è stata da lui vissuta realmente in due momenti precisi. Comunque, lui non era solo. La differenza in letteratura, nell’estetica pirandelliana, consiste proprio in questo: nell’esser soli, nel sentirsi soli o nel cercarsi nella solitudine. Pirandello si cercava nella solitudine, quindi non era solo in sé, ma si cercava nella solitudine per ritrovarsi e per ritrovare costantemente due personaggi che sono stati fondamentali nella sua vita. Uno di questi era la madre. Ci sono pagine intitolate Colloqui con mia madre che sono straordinarie. Pirandello diceva alla madre morta «Quand’è che smetti di morire? Io ti ritroverò e ritroverò anche me stesso». Sono del parere che queste pagine rappresentino la chiave di lettura per comprendere questo viaggio interiore di Pirandello. L’altra figura carismatica, importante, è l’attrice Marta Abba, la quale ha rappresentato un punto di grande contatto sia con la realtà, sia con la sua vita sentimentale. Pirandello ha amato profondamente Marta Abba, probabilmente senza esserne corrisposto, per svariati motivi. L’ultima lettera di Marta risale a due giorni prima della morte di Pirandello. Questo colloquiare costante ha segnato anche una tappa importante per gli scritti futuri lasciati incompiuti come I giganti della montagna, un capolavoro fondamentale perché dentro questo testo è contenuta la profonda religiosità di Pirandello. Sebbene fosse laico, tendenzialmente non credente, si assiste qui a una rilettura del discorso della montagna evangelica che diventa la metafora dell’Impossibile e i giganti possono confrontarsi con l’impossibile.
La follia in Pirandello spesso coincide con il concetto di “non verità” perché ciò che conta non è ciò che si è, bensì ciò che si rappresenta o ciò che si vorrebbe essere. Il suo concetto di follia quindi si ricollega, in un certo senso, a quello della maschera?
Credo di sì, perché è vero che lui ha avuto un’esperienza diretta con la follia, a causa della moglie che aveva avuto una forte crisi depressiva provocata da una situazione economica disastrosa; ma la follia per Pirandello entra nel gioco della vittima, nel gioco della teatralità. Soltanto se si è folli, diceva, è possibile vivere la vita fino in fondo. Poi aggiungeva in un’annotazione: «È possibile che io possa pensare di costruirmi una vita con Marta Abba? Soltanto un folle lo potrebbe pensare. La follia è bellezza, la bellezza ci permette di vivere». Qui entrano in gioco il concetto di bellezza e quello di follia. Il concetto di vivere fino in fondo la vita. Soltanto se si è folli si riesce a vivere la vita fino in fondo, si riesce a capire la bellezza della vita stessa. Marta Abba era la bellezza, la bellezza fisica, la bellezza intellettuale, la bellezza interiore, quindi il concetto di “assoluto” diventa un concetto che trasporta oltre il limite del relativo e diventa un concetto di tempo. Sono del parere che tutto questo nel viaggio pirandelliano sia stato di grande importanza anche per le generazioni successive. Cesare Pavese recuperò questo concetto dell’enigma, del mistero e del sentimento di morte che non è sentimento del tragico. Il sentimento del tragico non sempre corrisponde con l’ironia. In Pirandello corrisponde con l’umorismo: «Senza umorismo la vita non avrebbe senso», affermava. Queste tre coordinate: la follia, la maschera, la bellezza non sono quell’umorismo che in molti diventerà ironia per permetterci di continuare a vivere.
Nel Pirandello poeta si assiste ad un’interessante intreccio di stili e influenze soprattutto con il mondo orientale. Nei suoi versi si ravvisano, però, anche influssi di Carducci, Dante, Pascoli, D’Annunzio, ma forse quelli leopardiani e dannunziani sono i più evidenti, come giustamente lei fa notare. Due autori estremamente diversi che con Pirandello probabilmente condividono molto, non è così?
È giusto quello che dici. Lui è stato un attento studioso di Dante. Ha scritto dei saggi importanti su di lui. Il «Dante estetico», lo definiva, differenziandosi da coloro che vedevano nel sommo poeta solo il padre della lingua. Pirandello è stato un grande amante dell’antropologia e quindi del mondo esoterico. Leggeva in Dante questa visione che era una visione metafisica dell’esoterico, di conseguenza la letteratura doveva avere in sé del mistero per essere attraversata. In Leopardi, in cui vi è questa melanconia che diventa rimembranza, diventa nostalgia, tutto ha un segno ben preciso. Quando Pirandello diceva: «La mia opera non ha nulla di romantico, di ottocentesco, ma vive all’interno del decadentismo», mi ricorda Leopardi quando dichiarava: «Perché mi definite romantico? Io non sono romantico. Le mie poesie possono avere un trasporto melanconico, ma non hanno un romanticismo in sé, esse possiedono una visione che è quella esasperante della vita». Il romanticismo è “impeto” e “azione”. Leopardi si discosta da questa azione ed entra in quella dimensione che preannuncia ciò che poi sarà Pirandello, Ungaretti, ciò che sarà tutta la generazione che viene definita ermetico-decadente. Pirandello è stato un grande filosofo e studioso della letteratura, soprattutto di Leopardi e di Dante, e aveva scoperto anche in Cecco Angiolieri una chiave di lettura diversa. Nell’ironia di Cecco, Pirandello recuperava quella parola che poteva essere la bellezza, ma ne escludeva la volgarità. In quegli anni essere ironici significava usare un linguaggio che oscillava tra il lascivo e il volgare. Il Pirandello poeta è il Pirandello che recupera Leopardi, che recupera Dante, in parte anche Petrarca, in questa visione che ci porta a quel mondo delle lingue orientali. Sarebbe impossibile capire Dante senza comprenderne il legame con il mondo orientale, con il mondo musulmano. In Pirandello c’è una formazione che nasce all’interno della sua terra, ma c’è una formazione che nasce anche dai suoi studi profondi sulla cultura classica, sulla cultura greca, mutuando, però, dalla cultura mitteleuropea. La sua presenza in Germania ha giocato un ruolo interessante permettendogli di conoscere quella cultura ampia che, partendo da Dante, si completava con autori quasi a lui contemporanei, come Thomas Mann, ma che hanno avuto un ruolo consistente in tutta la sua opera.
Nel febbraio del 1925 Pirandello conosce Marta Abba, una giovane attrice di teatro. La differenza di età tra i due è notevole (lui ha 57 anni e lei soltanto 25), ma questo non costituisce un ostacolo al loro legame che diventerà molto forte e importante nel tempo. Lei però vedrà sempre in lui un maestro, mentre lui ne è fortemente attratto e non soltanto da un punto di vista professionale. Un sentimento forte e struggente che accompagnerà Pirandello fino all’ultimo giorno della sua vita. Secondo lei, ci troviamo di fronte a un’idealizzazione della figura femminile, alla “donna angelus” della poesia stilnovistica, tanto per intenderci, oppure a qualcosa di molto più terreno?
Credo che Pirandello parta proprio da questa visione della “donna Beatrice”, da questa figura di donna che è l’aura; quindi attraversa, come un incipit, questa visione della donna angelus stilnovistica, la quale si trasforma immediatamente nella donna Fiammetta. Quella concezione della donna angelus diventa sensualità, passione. Pirandello provava una forte attrazione nei confronti di Marta Abba, la quale vedeva in lui il Maestro. Pirandello, invece, non vedrà mai in lei una sua allieva. Ma il termine “Maestro” rappresenta una metafora in sé. Io mi sono chiesto per quale motivo Marta Abba scrivesse a Pirandello moltissime lettere, continuando a scrivergli fino agli ultimi giorni della sua vita. Ritengo che anche in lei vi fosse un legame sentimentale molto forte che la legava a Pirandello, un segno tangibile che li ha uniti fino agli ultimi giorni della vita di lui. Sono convinto che in Pirandello, nei suoi scritti, fosse presente forte l’elemento di “attrazione” che lo portava al di là della scrittura e della letteratura stessa. Sono state scritte, tra i due, circa 300 lettere all’interno delle quali è sempre presente una grande dimensione sentimentale, onirica, ma anche la sensualità che si è trasformata negli anni in una grande passione amorosa. Nel mio libro cerco di leggere il legame tra Pirandello e Marta Abba attraverso la lettura tra Cesare Pavese e Constance Dowling. Una storia tragica, quest’ultima, ma anche una storia d’amore caratterizzata da una grande sensibilità, sensualità e attrazione. Le passioni restano, non sfuggono e diventano negli autori un punto di contatto con la pagina. Pavese accoglie nella poesia La morte verrà e avrà i tuoi occhi i suoi ultimi giorni d’amore con Constance e lo stesso fa Pirandello che annota nelle sue ultime pagine il suo rapporto con Marta Abba.
Esistono amori che vanno oltre la materialità fisica e, forse, sono i più veri…
Sono amori che restano, a mio avviso, che vanno oltre la consuetudine, oltre il quotidiano. Se un amore ti permette di scrivere un romanzo, dei versi, è normale che vada oltre l’abitudinario, la quotidianità. Qui ci troviamo di fronte alla stessa situazione di D’Annunzio con la Duse. D’Annunzio, quando verrà a sapere della morte di Eleonora Duse, dirà: «L’unica donna che non ho meritato, ma l’unica donna che mi ha amato». Qualche anno prima dedica un intero libro, Il fuoco, al loro grande amore. Analogamente, se noi mettessimo in scena il grande amore tra Pirandello e Marta Abba, ne risulterebbe un film che potrebbe dare una chiave di lettura a questo loro rapporto esattamente come la storia d’amore tra Constance e Pavese. Io li vedo molto simili questi legami di Pirandello, D’Annunzio e Pavese con queste tre donne fantastiche, misteriose, dotate di una grande eleganza dal punto di vista femminile, ma anche una grande visione del rapporto con l’uomo che non è mai un maschio in sé, ma è l’uomo della propria dimensione onirica. Tutte e tre provengono dal mondo della cultura. Tre attrici che incontrano tre scrittori che fanno della loro vita la teatralità del loro vissuto. Anche D’Annunzio non fa altro che raccontarsi narrando la teatralità della propria esistenza fino all’ultimo giorno, così fanno anche Pirandello e Pavese. Sono tre personaggi che metterò insieme nel mio prossimo libro divertendomi, in termini positivi, e cercando di leggere il loro cammino spirituale, esistenziale e il rapporto che hanno avuto con queste tre donne fondamentali del loro percorso letterario.
Amori, quindi, che vanno al di là di tutto, al di là delle convenzioni sociali, che vanno oltre la realtà. Amori senza tempo e per questo destinati a durare nel tempo e “oltre” il tempo.
Proprio così! Questi amori non conoscono il rapporto con il tempo perché vivono nella durata. Se oggi ne stiamo parlando significa che sono stati dei grandi amori e che continuano ad esserlo. Credo che non sia soltanto l’effetto letterario esistenziale in sé, bensì un dato che ci ha formati e che ci fa capire il legame con la donna, il legame con l’uomo e come può essere vissuto. Come questi intellettuali, scrittori, uomini “dal pensiero forte”, come amo definirli, possano aver vissuto queste storie d’amore. È bella questa visione della delicatezza, della dolcezza, della bellezza dell’uomo scrittore nei confronti di una donna che fa un mestiere molto simile a lui.
È sempre una grande emozione sentirla parlare. Le sue parole commuovono nel profondo, sia che siano racchiuse in un romanzo o in un saggio, sia che appaiano sotto forma di versi nelle sue splendide poesie. Un viaggio nella bellezza della letteratura e della poesia che custodirò sempre. La ringraziamo tantissimo per averci donato tutto questo.
Grazie per aver parlato di letteratura, ma soprattutto per aver parlato di amore, di bellezza, di gioia e del quotidiano di esistere.
Intervista a cura di Stefania Romito