I Canti del Mezzodì

 

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Ali d’Argento

 

Nell’incavo di una notte

tutte le notti

sono infinite.

 

Le notti sono chiuse

in un fiore di neve.

Il mutamento umano

palpita nella luce.

L’inizio e la fine

sono vampe solari.

 

L’uomo è giovane

nel buio eterno

sì come quando

il mondo

era un selciato

su cui schiudere

ali d’argento.

 

Ora c’è la luce

che ti divora.

 

Il mondo rimasto

sono i molti muri

ovunque protesi

contro la libertà.

 

///

 

Beathauile

 

L’abbraccio caldo del legno

è coronato di tappezzerie

e cornici librate

colme di coppe,

colline e compagnia.

Un focolare avvampa

della sua folle antichità.

Di pietre e rune

facciamo dimora

alle nostre mani.

 

L’Isola di Smeraldo

scrive nomi su acque

martellate dai venti.

Il suo nome è l’erba

dipinta dalla pioggia

in uno specchio salato

nel Connemara.

I nostri nomi

sono specchi bruni

posati sui boccali.

 

Di campi e teatri

vogliamo cantare!

Un colpo di tacco

schioda dal sonno

l’arcobaleno d’oro

del piccolo popolo.

 

///

 

Distanti fruscii

 

Tu eri un rannuvolarsi

su letti di liquido cielo

Pioggia immobile sull’erba

Linea di tiepide, molli onde

Luci gettate nel mondo

all’ombra di chi all’intorno

ne rifrangeva i frantumi

Veleno da versare

dentro creduli versi

Ora d’ozio, ora d’amore

in un vuoto senza fine

 

///

 

Giada

 

Torni come i rintocchi

hai il nome nei tuoi occhi

due occhi ritrovati

come magiche rune

verdi boschi incantati

dopo deserte dune.

 

Sotto le prime lune

tu fosti una scintilla

e tra mille fortune

lo sguardo tuo sfavilla.

 

Tu sei l’acqua che stilla

da fonti di montagna

nelle conche d’argilla

tra i muri di lavagna.

 

Nell’ombra che ristagna

in un attimo vai via

e già il cuore si bagna

di confusa nostalgia.

 

Dentro questa fantasia

parole tue interrotte

dentro questa galleria

sei il Sol di Mezzanotte.

 

///

 

Giulia

 

I silenzi in processione

Come cerve bianche

Accarezzano

Infiniti stagni di luce

E scivolano lontano

Tra prati dimenticati

Sui campi d’oro

Dello stupore

 

Cercando una voce

Ho incontrato un viso

 

Annegando molte mani

Nella culla della terra

Ho ritrovato tutti i baci

Sepolti dalle tue lune

 

Ancora danzano gli dèi

Nel tumulto dei Misteri

Ancora abitano i boschi

Degli Occhi-padri neri

 

///

I Lasciti del Vuoto

 

Ti ricordo nel coltivo del pallore

piegare le spighe con le mani tese

incontro al margine verde del maggese

posandomi grandi occhi neri sul cuore.

 

Ricordo i fruscii, le trasparenti voci

di stoffe molli al centro dei tuoi incroci

Ricordo quel tuo timido palpitare,

profumo di terra, profumo di mare.

 

Sotto i più caldi soli finora scorti

dall’antro segreto delle belle sorti

avevi lo zucchero sparso sul naso,

avevi un tesoro trovato per caso.

 

Troppe sommesse voci di paradiso

hanno coperto per anni quel tuo viso,

troppa dolcezza di note o di visioni

mutavano in canti le tue discussioni.

 

Nella tua figura mi ero confessato

malato di te, colpevole d’amore

e il nostro cielo era un falò sconfinato,

ma la notte non ricorda quelle altre ore.

Ha il ricordo rotto di un cielo stellato,

tanto freddo e muto quant’ogni dolore.

 

Sapevo e non credevo

che mi eri proprio accanto,

sapevo e non credevo

che mi costasse tanto,

sapevo e non credevo

che già via te ne andavi,

sapevo e non credevo

nel vuoto che lasciavi.

 

///

 

I Piaceri dell’Illusione

 

I sogni muoiono ancora bambini

sono acque lucenti di soffici onde

sfasciatesi sui muri corallini

di alte scogliere tra gole profonde;

ma escludi tu che quei tanti marosi

che sempre s’infransero sì per eoni

un bel mattino non vedranno erosi

crollare in mare i più duri bastioni?

 

///

 

Il Cadavere del Fuoco

 

Vedo visi arsi da bellezze aliene,

orecchi tesi a stellari sirene,

sguardi appesi ai neri contrafforti

donde tutti gli dèi caddero morti.

 

Ma là non v’è che un baratro riverso.

Come l’amore è questo universo:

una luce fugace in lontananza

e buio, e gelo che lento s’avanza.

 

Noi, le pazze prede della speranza,

mai siamo sazi di quella pietanza.

Tutti cantiamo canzoni d’amore,

 

mentre all’intorno riecheggia l’orrore,

tutti danziamo nel nero che tace

come scintille nel cuor della brace.

 

///

 

Il Guscio del Mare

 

C’era l’aria del mattino

e disegnavo sogni

nella luce e nel vento.

Credevo avessero carne magica

e la tua carne leggera.

Ricordi quanti nomi di nessuno

abbiamo imparato per sempre?

Poi ci hanno gettato addosso

risme di strade accartocciate

sotto volte di ferro e portici d’ebano.

Se vedessimo la vanità dei giorni,

spegneremmo il Sole prima del mezzodì.

Dio guidava una Citroën DS21

seconda serie, azzurra.

Noi eravamo rostri di gomma nera

uniti da un abbraccio cromato.

Sono sicuro di averti abbracciata,

una o due volte.

Nell’abbraccio degli amanti può capitare

che il sonno perda il sembiante della morte

e che tra i corpi non rimanga più di un unico

nervo di terrore.

Ho abbandonato i nostri scogli a Imperia

e ora sono l’orlo di una noce che ti donai

perché di metà ne facessi una barchetta.

Sapevo che, mentre nessuno guardava,

in quel guscio ci versavi tutto il mare.

Ora le poche briciole rimaste

tra i recessi bruni del suo endocarpo

nutrono tutte le piccole vite di laggiù.

Proprio come nutrivano di fantasie

le piccole vite che avevamo affiancato

in quel noi primaverile.

Se regalerai qualche conchiglia

di quelle che raccogliemmo allora

alla strada che mi resta da fare

prima di trovarci di nuovo insieme,

mi sarà più lieve il raggiungerti.

Aspettami ancora un momento,

là dove tutto sarà nostro,

là dove ricorderò il tuo nome.

Sulla tua pelle avrai sapore di pioggia,

avrai profumo di resina,

infine la mia.

 

///

 

La Nonuplice Musa

 

In faccia al fato

Innalzi

L’asilo della luce

Quando prometti

Il giorno

Fioriscono

I palmi delle tue mani

Se te lo dico

Le porti al plenilunio

Del tuo sorriso

Un fulmine bianco

Un quadrello nel petto

Di te risuonano

Pianeti di vetro

Campanelli cosmici

 

Hai un canto dolce

Premuto sulle labbra

Sei una ferita

Aperta nel cielo

Tra tendaggi di nubi

E riversi un incendio

Sull’orlo azzurro

Delle montagne

Dove la Città di Latte

Dorme

Cullata nella fiamma

Flessuosa

 

Tutto è nato

Al tocco nudo

Di piccoli piedi

Tutto è morto

Nei tuoi occhi

Spargendo

Frantumi di stelle

Sui prati della sera

Hai perso una lacrima

Sul letto sfatto

Del fiume umano

Ma sei tu e sei lì

Bianca

Rossa

Stupenda

 

Hai dormito

Immemore

Sui muschi

Di petrosi santuari

Più vecchi del tempo

Mentre ristavi

Accucciata

Un riso di fata

Un’ombra

Del tuo sorriso

Vagabondava

Sul giardino

Disteso

Del tuo volto

 

Allora guardandoti

S’intravedeva il mare

Partorire dita di rosa

E luccicare d’incanto

 

Ora t’irradi

Rovente

Spezzi mille mondi

Esplodi così

Nelle prime ore

Come un tesoro

Dissepolto al Sole

Tutte le mani

Si sciolgono

Sul sogno

Di abbracciarti

Di saperti

Bianca

Rossa

Stupenda

 

///

 

Lo Stridio delle Sfere

 

Nelle viscere del cielo

nel freddo abbraccio

di mille mondi

odiosamente

stridono le Sfere.

I mali rilucono

in pallidi prismi

di fiamme stellari.

Hanno la pelle bianca

più delle tue care ossa.

Dai vetri rotti

di questa terra

traluce la conclusione

del tuo fragile,

fragile cuore.

Del tuo muto,

muto vagare…

Sì, voltati ancora

a vagliar le dune

e una sola goccia

di miele dorato

cadrà sulle labbra tese

del tuo ultimo sorriso.

 

///

Lucciole Spente

 

Quali energie camminano

sulle tue palpebre scosse?

Riversa sul fianco sogni

e mille luci angeliche

scivolano sul tuo ventre

per chi ti guarda dormire.

Rivedi il primo giorno in cui

nel fosso scuro hai scorto

la danza delle lucciole

su soppalchi d’acque nere.

Potevi volare via, sai?

Tra le fratture del buio.

Lungo quelle scie fatate

ti saresti fatta eterna.

Ma la polvere si posa…

spente sono le lucciole

spento è l’antico ardore

e in un ultimo sospiro

spenta sei tu, mio amore.

 

///

 

Molto più in là della notte

 

Vento che guidi l’ombra incombente

vento che strappi drappi di fiori

gettandoli tutti più giù del niente

cosa lasciasti di là della notte?

Un annegarsi sia dentro, sia fuori

una cadenza di parole interrotte

e il ritmo cupo del pioversi addosso.

Sempre, molto più in là della notte

c’è solo un baratro in fondo ad un fosso.

A chi non manca di vano pensiero

a chi oltre l’avviso diviene desto

insieme a quei fiori, nel fosso nero

certo conviene piombarci al più presto.

 

///

 

Notte sulle Colline

 

Fuori dalla porta

L’aria è piena di occhi

Giù dalle scale

C’è una ferita

Aperta

Sul cuore dell’universo

 

Dalle colline

Affogate

In un tuffo di nebbia

Giunge un gocciare

Lento

Di sangue

 

I tralicci del buio

Attorniano

Il calice

Delle caviglie

E scivolano

Sull’acqua

Nera

Per spegnere

Freddi tramonti

 

L’eternità nitrisce

Spasimando

Per l’ombra del grano

Tumulata nel fango

 

Odi il suo grido

Sulle colline?

 

L’umido legno

Sussurra paure

A tremule cose

Figlie dalla notte

Che dilagano nel gelo

Come un panno zuppo

Spalmato sulla pelle

Il lucore del fosforo

Danza remoto

Come uno scheletro

Sul fondo del mare

 

Il bosco ribollisce

Ha sonnambule radici

E avvita

Fiamme verdi

Tra i vapori stellari

Oltre le trame

Nude

Dei rami

 

L’erba s’inchina

Voluttuosa

Si rincorre

Si fa seta

Nera

 

Immobili

Ristanno

I monti d’ossidiana

Rinserrando memorie

Tra petali di fiori

Non visti

 

La cavalla

Nera di peste

Su gambe ossute

Anche stanotte va

Corre le colline

 

La déa incendiaria

Urla la sua magrezza

Al fango che geme

Sotto i suoi zoccoli

Spaccando vetri

Che versa nei cuori

 

Una notte più antica

L’uomo la fermò

Con cento catene

Lei fu bella e fu sua

E promise che mai

Non una volta ancora

Avrebbe galoppato

Nel deserto notturno

Sulle colline

 

Ora l’uomo dorme

Un pallido sonno

Sotto ombre curve

Le catene sono sparse

E la déa va

Come prima andava

Nitrendo

Ardendo

Sulle colline

 

///

 

Ombre Morte

 

Spirano abbandoni

da delicati viandanti

 

Queste vie annodate

hanno sciolto le genti

 

Gli amici persi

sono una collezione

di passi lontani

 

Forse ogni nuovo

in quanto tale

nasce già vecchio

a ben guardare

 

Nuovi roghi

si accendono

di nuovi gesti

e parole nuove

nate già vuote

 

La pioggia già accorre

per spegnerli tutti

 

Il fuoco disseccherà

le dolcezze rimaste

 

L’eterno fuoco

annienta prima le case

dopo le mura che le coronano

ormai vuote

 

L’eterna pioggia

corrode prima le perle

dopo le mani che le stringono

ormai vuote

 

///

 

Politta

 

Son nei giardini corolle di fiori

che offrono al Sole i più vivi colori

di cielo e mare, di giorni lontani

come son quelli dei suoi giochi inani.

Tra fiori di marmo e terra bagnata

chiusa è Politta, che non è sbocciata.

Fiori le portano i suoi genitori,

più non potranno vederla là fuori.

Così i cimiteri più dei giardini

colmano i prati di fiori e bambini.

 

///

 

Una Foglia fatta di Buio

 

Cade l’oscurità come una foglia

che ruba i fiori al sole.

Sulla via delle more

ti macchiasti di dolce sangue nero.

Sulla via del tuo mare

hai annegato un sogno di nostalgia

e te lo sei lavato via.

Tra inerpicati filari di case

hai disperso i nomi di quell’amore.

Lungo l’orlo del bosco

hai chiuso i vecchi libri.

Il tuo viso tramonta voltandosi

e alza notti fitte di ricci scuri.

Da questa distanza il tuo camminare

sembra il vaglio di un bacio

sul tuo collo perduto.

L’ultimo barlume del paradiso

è vedere te che passi lontana.

di Ivan Ferrari

Autore

  • Laureato in filosofia, redattore della Rivista e socio collaboratore dell'Associazione culturale La Taiga dai giorni della loro fondazione, ha interessi soprattutto storici e letterari.

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