Da impiegato a bombarolo: uno sviluppo semiotico

di Andrea D’Apruzzo

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Così recita il romanzo Tigre di carta, una delle più importanti opere scritte sul movimento sessantottino:

Il mondo che avevate sotto gli occhi , nel quale vivevate, era come addensato, trasfigurato da una forza che legava ogni avvenimento, ogni individuo a un’antica catena di avvenimenti e di individui più grandi, più tragici. Può sembrare ridicolo, ma era comunque un forma di poesia. Oggi sembra che ci sia solo il presente, l’istante stesso, il presente è diventato un colossale formicolio, una prodigiosa innervazione, un big bang permanente, ma a quell’epoca il presente era molto più modesto, era la modestia stessa, di fatto. Era il passato che aveva una presenza formidabile, e anche il futuro. Il passato, la Storia, era il grande proiettore delle immagini del futuro[1].

Ad un ’68 in cui lo sviluppo era fin troppo forte fa da contraltare un presente in cui esso si è sostanzialmente azzerato. Ma in un’epoca di «temerari, così appassionatamente sicuri che il mondo, un giorno […], sarebbe stato creato come di nuovo, sciolto da ogni fatalità, dagli antichi vincoli infami della diseguaglianza e del disprezzo»[2], era possibile uno sviluppo graduale? Per trovarlo dobbiamo spostarci pochi anni più avanti, quando il ’68 divenne veramente una «forma di poesia».

Storia di un impiegato è il sesto LP di Fabrizio De André, uscito nel 1973. Si tratta di un concept album la cui storia parla di un impiegato trentenne che, dopo aver ascoltato una canzone del maggio francese[3], si interroga sul proprio ruolo all’interno della società e su quale sia il compito che deve adempiere all’interno di essa; a seguito di una tormentata riflessione, decide di attuare un attentato contro il Parlamento, fallendo tuttavia miseramente; arrestato, è proprio in carcere che, alla fine dell’album, trova la sua dimensione, ribellandosi ai secondini insieme agli «altri vestiti uguali».

Nel corso delle nove canzoni che formano l’opera assistiamo allo sviluppo graduale della coscienza dell’impiegato, alla sua evoluzione nell’incontro/scontro con la realtà sociale e politica che lo circonda, all’intrecciarsi tra la sua storia personale e quella con la S maiuscola, che in quegli anni corre velocemente. Tra le varie tracce, La bomba in testa è quella in cui questo sviluppo si vede in tutta la sua evidenza.

Dopo le due canzoni precedenti, che hanno una funzione introduttiva, il focus dell’autore passa dai «cuccioli del maggio» all’impiegato. Il cambio di inquadratura è estremamente rapido, sottolineato da quel «…ed io…» in apertura di canzone che comprime al massimo lo spazio (narrativo e mentale) tra la fine della canzone di protesta e l’inizio della riflessione personale del protagonista. Questo spazio così compresso fa sì che l’impiegato inizi la sua riflessione comparando se stesso ai protagonisti della canzone che ha appena ascoltato: da un lato il protagonista, intento a «contare i denti ai francobolli» e a dire «“grazie a Dio” “buon Natale”», dall’altra «gli ingrati del benessere francese» che «cantavano il disordine dei sogni». Questa dicotomia si ritrova alla fine della prima e della terza strofa, con l’accostamento in rima tra «loro» (la protesta, il disordine) e il «lavoro» (la sicurezza, l’ordine), ma nell’arco di pochi versi la situazione è completamente mutata: se nella prima strofa l’impiegato si sentiva «normale», nella terza il suo sentimento si è ribaltato, aprendo la strada alla riflessione sulle motivazioni che possono aver spinto i manifestanti ad aver preferito la protesta al lavoro, la strada alla casa. Proprio questi ultimi due termini sono messi in contraddizione all’inizio della sesta strofa:

Rischiare libertà strada per strada
scordarsi le rotaie verso casa.

Rischiare la libertà (protestare, in questo caso) si lega alla strada; le rotaie (sinonimo dell’assenza di libertà) conducono alla casa.

Se alla contraddittorietà tra questi due termini uniamo quella emersa in precedenza tra «loro» (che simboleggiano la protesta) e il «lavoro», abbiamo quattro termini che, inseriti in quadrato semiotico[4], possono render conto dello sviluppo graduale della coscienza dell’impiegato che si attua nella canzone. Perché utilizzare un quadrato semiotico? Innanzitutto perché esso è la visualizzazione grafica «del sistema categoriale delle opposizioni», e la canzone (se non l’intero album) in questione gioca proprio su rapporti e differenze tra due categorie poste in contraddizione tra loro[5]; in secondo luogo, il quadrato non permette soltanto di visualizzare determinate categorie semantiche, ma offre anche la possibilità di muoversi fra esse in tutte le direzioni, esprimendo quindi al meglio i dubbi e le tensioni che contraddistinguono lo sviluppo della consapevolezza dell’impiegato.

Da impiegato a bombarolo - Quadrato semiotico

I rapporti tra i termini in questione sono evidenti nel testo de La bomba in testa: lavoro e strada sono contrari tra loro, così come casa e protesta; lavoro e casa sono in contraddizione rispetto alla protesta e alla strada in quanto si negano reciprocamente (lavoro significa non-protesta, casa equivale a non-strada); infine casa e lavoro, così come protesta e strada, sono tra loro complementari, si alimentano vicendevolmente, si rispecchiano l’uno nell’altro.

Eccolo dunque lo sviluppo graduale della coscienza del protagonista: dall’impiegato dell’asse di sinistra del quadrato (lavoro – casa), che abbraccia la sfera semantica della normalità, della sicurezza, della conservazione, egli è diventato il bombarolo di quello di destra (strada – protesta), legato al disordine, al rischio, al cambiamento, permettendo alla storia deandreiana di andare avanti.

La letteratura critica su De André ha ormai raggiunto dimensioni considerevoli, ottenendo talvolta risultati soddisfacenti. Alla luce della complessità della poetica deandreiana, e soprattutto della contraddittorietà di Storia di un impiegato («Non è che sia venuto molto bene, io volevo fare un discorso umano, loro [Giuseppe Bentivoglio e Roberto Dané, coautori dei testi, NdR] tendevano a dare indicazioni sul modo di comportarsi. Ci sono così numerosi punti discordanti, ne è venuto fuori un mezzo pasticcio»[6]), un ampliamento metodologico in seno all’analisi dei testi potrebbe giovare ad una esegesi dell’opera che vada al di là della sempre importante e mai banale comprensione di base del testo.

Personalmente non conosco altre analisi semiologiche dei testi di De André, così come sono ancora troppo pochi i collegamenti tra motivi deandreiani e di artisti/intellettuali a lui coevi; non resta che sperare che questo secondo passo della critica del cantautore genovese giunga molto presto.

Note

[1] Olivier Rolin, Tigre di carta, tr. it. Di Tommaso Gurrieri, Edizioni Clichy, Firenze 2014, p. 30. Corsivo mio.

[2] Ivi, p. 48.

[3]  Ripresa da Chacun de vous est concerné di Dominique Grange, militante sindacale francese.

[4] «Sviluppo formale del sistema categoriale delle opposizioni, costituisce lo schema generale delle articolazioni possibili di una categoria semantica», da Francesco Marsciani e Alessandro Zinna, Elementi di semiotica generativa, Esculapio, Bologna 1991, p. 45. Il quadrato semiotico è una “struttura elementare della significazione” in cui, tra i quattro termini di prima generazione che vi vengono inseriti, esistono legami diversi: tra i termini presenti sui due assi orizzontali vi è un rapporto di contrarietà; tra i due elementi presenti sulle due deissi verticali esiste un rapporto di complementarietà; tra i due termini legati sugli schemi diagonali vige un legame di contraddittorietà.

[5] Impiegato/manifestanti ne La bomba in testa; giudice/imputato in Sogno numero due; bombarolo/donna in Verranno a chiederti del nostro amore; carcerati/secondini in Nella mia ora di libertà.

[6] Questo il pensiero di De André sull’album, riportato in Luigi Viva, Non per un Dio ma nemmeno per gioco. Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000, p. 149.

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