L’indifferenza è dittatura

di Victor Attilio Campagna

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Michel Houellebecq, autore di "Sottomissione"

Nel romanzo che si porta dietro l’inquietante coincidenza con gli attentati di Parigi, l’immagine capovolta di uno sviluppo graduale inteso come sottomissione, nella prospettiva di un ipotetico compimento storico: l’affermazione della cultura islamica.

Nel 2015, il giorno dopo il massacro di Charlie Hebdo, è uscito Soumission di Michel Houellebecq, edito in Italia da Bompiani[1]. Questa casualità ha avuto un certo riscontro, perché Sottomissione ha come tema proprio l’Islam.

In questo romanzo, infatti, si dipinge un’Europa molto vicina al reale, colpita da carenza delle nascite, crollo delle grandi ideologie e sgretolamento della cultura occidentale. Di fronte a questa mancanza sociale il partito della Fratellanza musulmana, guidato da Mohammed Ben Abbes, prende il potere in Francia, senza che alcuna opposizione sia in grado di contrapporsi a quest’ascesa. Dal crollo dell’Occidente, gradatamente emerge l’unica cultura ancora fertile, ossia quella islamica. A esprimerlo chiaramente è Lempereur, collega del protagonista alla Sorbona:

[…] l’umanismo ateo, sul quale poggia il “vivere insieme” laico, non resisterà a lungo, la percentuale della popolazione monoteista è destinata ad aumentare rapidamente, specie nel caso della popolazione musulmana – e questo senza tener conto dell’immigrazione […] (pp. 62-63).

In questo futuro ipotetico, in cui si paventa la guerra civile e in cui gli attentati dinamitardi diventano quotidiani, il protagonista, François, è un professore universitario nella sede di Parigi III della Sorbona. È un uomo marginale – lo riconosce egli stesso – senza una vita sentimentale regolare, se non con “ex amichette”, studentesse e prostitute con cui intrattiene rapporti sessuali irregolari. Alcune ragazze si innamorano di lui, ma François non sembra in grado di riamarle («Se interrompevo le mie relazioni con quelle ragazze era piuttosto a causa di uno scoraggiamento, di una stanchezza», p. 20). È un personaggio quindi senza fede, senza amore, senza ideali: un nichilista insomma. Proprio per questo si rivela perfetto osservatore di un potere che va disgregandosi e di un altro che acquista forza. Perfetto perché non ha occhi giudicanti, ma neutri, e di questa neutralità si fa forza il libro, non cadendo in distopie improbabili, ma mettendo in atto un’analisi della società in rotta, guardando a una Francia senza tradizioni, epicentro di un’Europa in ginocchio.

Io non sono per assolutamente niente, lo sai, ma il patriarcato aveva il merito minimo di esistere, nel senso che in quanto sistema sociale perseverava nel proprio essere, c’erano famiglie che mettevano al mondo figli e riproducevano all’incirca lo stesso schema, e insomma, funzionava; ora invece non ci sono abbastanza figli, quindi è finita (p. 36).

In questa frase, in risposta a Myriam, una delle sue amanti, emerge tutta l’amarezza di un intellettuale che arriva a rimpiangere il patriarcato – cosa a ben vedere spregevole – in quanto era una forma di ordine, capace di osteggiare ogni contaminazione sociale troppo estesa, mantenendo così vivo il concetto di Europa e di Occidente; ma soprattutto riconferma la tesi di Lempereur, per cui il crollo delle nascite corrisponde a una fine vicina. Lo stesso François vive su di sé l’assenza di ogni interesse per qualsivoglia rapporto che non vada oltre un anno accademico, quasi come si trattasse di un proseguimento dei suoi corsi. Questa visione della sessualità, che abiura la facoltà riproduttiva, è specchio di una crisi sociale profonda, in cui non si ha alcuna spinta vitale.

Lo sviluppo graduale è evidente: si parte da una situazione di stallo economico e sociale, si ha l’ascesa di un partito, Fratellanza musulmana, che va al ballottaggio contro il Fronte nazionale, per poi vincere le elezioni. In tutto questo si vede una passività totale: François si sente disinteressato all’agone politico, pur rimanendo stranito per certi eventi e per l’indifferenza generale rispetto agli attentati che colpiscono varie zone di Parigi.

Per contro, ero colpito dal torpore dei miei colleghi. Per loro sembrava non esserci alcun problema, non si sentivano affatto coinvolti, e questo non faceva che confermare ciò che pensavo da anni: chi raggiunge lo status di docente universitario non immagina neanche lontanamente che un’evoluzione politica possa avere effetto sulla sua carriera: si sente assolutamente intoccabile (p. 70).

Dopo questa considerazione c’è l’incontro con Marie-Françoise, sua collega, che lo invita a casa per parlare col marito, un agente dei servizi segreti, che praticamente prevede tutto quello che succederà di lì a poco; quest’ultimo risulta una figura fondamentale, perché capace di interpretare senza fronzoli un mondo che va cambiando radicalmente.

Il centro del progetto islamico è il ritorno al patriarcato tramite l’educazione, per cui la prima riforma sarà dell’istruzione. Tant’è che l’obiettivo principe del governo sarà la Sorbona, che diventerà un’università islamica. Formalmente cambierà la politica del vestire, per cui chiuderanno molti negozi osé, ma questo avviene solo a margine: l’obiettivo principale è culturale, per cui, dopo il compimento, come nell’esagramma di sviluppo, abbiamo una ripartenza da zero, in cui il Governo islamico costruisce uno Stato islamico.

I primi passi del governo di unione nazionale voluto da Mohammed Ben Abbes erano unanimemente salutati come un successo […] Ripensavo spesso a ciò che aveva detto Tanneur, alle ambizioni internazionali del nuovo presidente, e notai con interesse un’informazione che in pratica era passata sotto silenzio: la ripresa dei negoziati per l’ingresso del Marocco nell’Unione Europea; quanto alla Turchia, era già stato deciso un calendario. La ricostruzione dell’impero romano era dunque in marcia, e in ambito nazionale Ben Abbes procedeva senza sbagli. […] La conseguenza più immediata della sua elezione era stata il calo della delinquenza […] Un altro successo immediato era la disoccupazione, i cui dati erano in caduta libera (pp. 170-171).

Ci sono due piani di lettura: da una parte i dati di una Francia in stato di grazia, con toni da cronista politico, dall’altra considerazioni più sibilline, ma molto importanti, perché letterarie; l’ingresso del Marocco e della Turchia in Europa non sono mere considerazioni socio-politiche: nascondono in sé il progetto di Ben Abbes di ricostituire l’Impero romano, il che ha un significato estremamente forte, perché il leader islamico non guarda a una tradizione propria, ma a quella del continente in cui sta trionfando. Questo è un punto importante, oltre che una chiara denuncia: l’Europa ha abiurato l’apertura di sé verso l’esterno, si è andata via via chiudendo in un conservatorismo spiccio e di poco valore e tutto questo ha portato proprio a quell’invasione che si temeva. Solo che questa non è un’invasione militare, ma culturale. L’Europa, priva di idee e disunita, perde la propria identità e i movimenti identitari citati nel libro non sono altro che gruppi di fanatici politici senza alcun aspetto culturale.

Le vette di questo romanzo sono quei suggerimenti di umanità scavati negli interstizi di considerazioni socio-politiche, che vi ho riportato solo per fugare certe polemiche, visto che tanti hanno definito questo romanzo anti-islamico, quando invece il governo di Ben Abbes è definito uno dei migliori in Francia. Parallelamente, tuttavia, relega le donne a una condizione di sudditanza, ritornando al patriarcato, e costruisce un’università islamica, la Sorbona, in cui investe l’Arabia Saudita, donando fondi inimmaginabili, ma separando classi maschili e femminili e permettendo l’accesso e l’insegnamento solo a islamici. In tutto questo quadro la stampa e la popolazione sorridono, perché interessati solo al dato economico, trascurando però un dato culturale fondamentale: l’indifferenza totale, la perdita di identità e l’incapacità di far valere una cultura, quella occidentale, che ha portato a compimento conquiste enormi, non tanto sui campi di battaglia, quanto nelle università e nei caffè letterari; il messaggio di fondo è chiaro: senza identità culturale, dando potere assoluto al mercato, si finisce con l’accettare anche le dittature.

Una particolare riflessione di François avviene davanti alla Vergine nera, a Rocamadour:

Il giudizio morale, il giudizio individuale e l’individualità in sé non erano concetti chiaramente compresi dagli uomini dell’epoca romanica, e io stesso sentivo la mia individualità dissolversi, sul filo delle mie fantasticherie sempre più prolungate davanti alla Vergine di Rocamadour (p. 143).

Le personalità, in una società retta solo dall’economia, non fanno altro che dissolversi. Per ritrovare se stesso, François, verso la fine del romanzo, decide di rifugiarsi nel monastero più antico dell’Occidente, a Poitiers, lo stesso in cui soggiornò Huysmans; ma durerà pochissimo, perché la spiritualità non è più una soluzione. Non poteva fare lo stesso passo che fece il suo mentore letterario (il quale si fece oblato benedettino proprio in quel monastero): ormai è inutile ogni lotta.

La grandezza di uno scrittore si misura soprattutto sulla sua capacità di osservare il mondo. Visto tutto quel che sta succedendo in questi giorni, in cui si scorgono inquietanti analogie con la situazione prospettata da Houellebecq, si può a buon diritto affermare che con questo romanzo egli ha compiuto un’operazione estremamente intelligente, non cedendo alla tentazione della distopia: ha voluto essere oggettivo, usando gli occhi di un indifferente, sulla scorta di Moravia e di gran parte della letteratura del Novecento, in cui emerge la figura dell’inetto; è proprio con questo punto di vista che si mostra con forza il messaggio: i cambiamenti sociali sono sempre graduali e agiscono in sordina, senza veri e propri grandi strappi, si basano sulla sovrapposizione di mattoni su mattoni, passi su passi; ma soprattutto la passività diffusa, la mancanza di ideologie forti e l’idiocrazia sono la causa prima di una perdita di identità, che può causare il ritorno a fenomeni quali il patriarcato e le dittature, ma senza troppo dispiacere. E no, non è con la chiusura che si combatte questo fenomeno.

Sottomissione, infatti, non è un romanzo contro l’Islam, bensì contro l’Occidente e i movimenti di estrema destra. Piuttosto che di una soluzione, sono segno di una crisi la quale, alla lunga, potrebbe essere letale.

Note

1 M. Houellebecq, Sottomissione, Bompiani, Milano 2015.

Autore

  • Tre anni di Lettere Antiche, ora a Medicina e Chirurgia. Per non perdere l'identità si rifugia nella letteratura, da cui esce solo per scrivere qualcosa. Può suonare strano, ma «Un medico non può essere tale senza aver letto Dostoevskij» (Rugarli).

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