di Amedeo Liberti
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Nel leggere Che Pensare?, il bel numero speciale della Tigre di Carta, m’ha colpito il fatto che alcuni articolisti abbiano voluto offrire, rispondendo all’appello della Call for Contributions [1], anche una definizione su cosa sia oggi la filosofia. Significativo che a farlo siano stati soprattutto gli studenti. Certo, la Call muoveva dai problemi sorti in seno al dipartimento e i professori hanno, giustamente, preferito utilizzare lo spazio per dedicarsi al tema che stava loro a cuore. Il fatto che gli studenti abbiano però sentito la necessità di “schizzare” un discorso su cosa significhi oggi fare filosofia, l’ho trovato non solo di per sé interessante ma anche un approccio onesto al problema. Come rispondere in merito all’attualità filosofica e al rapporto tra filosofia e gli altri saperi, senza prima chiarire che tipo di sapere sarebbe quello filosofico? Vero è che la questione era ineludibile. Molti articolisti hanno infatti riconosciuto che la filosofia, almeno quella praticata in Università, sarebbe oggi in “crisi”.
Chiaramente ciascun tentativo non poteva essere esaustivo. Qualcuno ha collegato la filosofia con l’esercizio del dubbio. Per altri essa è disciplina che sorge dal raffronto con il problematico. Per altri ancora è un discorso sui fondamenti (delle scienze). Per qualcuno è un discorso sulla natura del conoscere e sulla natura della verità. Credo che ciascuna risposta non sia scevra da critiche. Qualcuno potrebbe obiettare che dal dubbio si passa facilmente allo scetticismo, che è il cinismo della filosofia e che scienziati e ricercatori appaiono più preoccupati dai fondi che dai fondamenti. Proprio per ciò serviva coraggio per provare a rispondere e ciò va solo a merito degli studenti.
È però sintomatico che tutti i tentativi muovessero da una visione “tecnica”. Nessuno ha cercato approcci più naïf ma ugualmente onesti. So che servirebbe una vita per capire cos’è la filosofia, nondimeno desidererei porre la questione in termini grezzi: a che serve (o a chi serve) la filosofia? Alla scienza? Alla storia? Ai giovani filosofi (e futuri disoccupati)?
Certo, la domanda è provocatoria. A me che l’ho posta bisognerebbe rispondere alzando la voce. Magari passare a “vie di fatto”. Come ai bei tempi, quando, come ci ricorda Un mestiere pericoloso, bel libro di Canfora, nel fare certe domande non di rado le suole dei cittadini impattavano sulle natiche dei filosofi. Invero chi pone una simile domanda merita insulti. Perché non c’è che una risposta: la filosofia non serve a nulla.
La filosofia non è, né mai sarà, serva di nessuno. La filosofia è in essenza pensiero libero e s’affranca da ogni esercizio di potere (e da ogni uso strumentale). Non si può fare filosofia senza cercare di prendere a schiaffi (e quindi prendere schiaffi da) il potere. Lo stesso non si può dire della scienza o della storia. Nel primo caso essa stessa è oggi una forma di potere (tanto sulla natura che sugli uomini). Nel secondo caso perché la storia è inevitabilmente una forma di rappresentazione del potere.
Allora da dove viene la crisi della filosofia? La crisi della filosofia viene dalla crisi della politica (e viceversa). Entrambe rinunciano a cercare idee nel momento in cui all’Uomo più servono («cos’è un’idea se non ti salva la vita» direbbe Peirce). Ambedue temono di non essere credibili e delegano a poteri tecnocratici, pregni di risposte ma privi di idee, la ricerca di soluzioni che non verranno.
È che per avere idee non serve nessun sapere particolare. Le idee erano riflessi di sopravvivenza di filosofi-gladiatori gettati nell’arena (politica) a battersi con le fiere d’un potere bestia. Ma la filosofia ha dimenticato il suo scudo mitico: la scandalosa ignoranza splendente. Era ottima per riflettere l’immagine dell’opaca ignoranza del potere e pietrificarlo.
Note
[1] Domande grosso modo riassumibili con: qual è il rapporto tra filosofia, scienza e storia? Ha ancora senso parlare di “analitici” e “continentali”?