di Federica Griziotti
///
Le radici nell’immagine del mondo, il tronco nella mano dell’artista che ne porta la linfa fino alla chioma dell’astrattismo e, di qui, al segno del divino. Il cammino dell’arte astratta dai pensieri di Klee ai soggetti di Mondrian e Schiele.
Nell’illustrarci il contenuto dell’esagramma n°46 Sciong – L’Ascendere, l’I King utilizza un’immagine che è davvero preziosa per capire quanto sia importante perseverare con forza e adattabilità quando abbiamo intenzione di portare a buon fine un’impresa. «Il legno nella terra cresce senza fretta e senza posa verso l’alto piegandosi cedevole attorno agli ostacoli. Così il nobile è devoto nel suo carattere e non rallenta mai il suo progresso». Può sembrare controintuitivo ma per non rallentare il progresso sembra necessario abbandonare ogni tipo di fretta: l’albero che cresce nel terreno infatti, con calma secolare diventa ogni giorno più forte, rendendo parte di sé tutti gli ostacoli che incontra – le meravigliose radici degli alberi superano ogni intoppo e crescono attorno a qualunque cosa si imponga sul loro percorso. In una dicotomia dalle parvenze piuttosto classiche dunque l’Ascendere fa subito pensare a ciò che c’è di più radicalmente terrestre, come l’albero, ma che allo stesso tempo ha anche una tensione smisurata verso l’alto e quindi vi si innalza con tutte le sue forze – e fronde. Dalla profondità più oscura delle radici, all’opposto slancio celeste della chioma.
Questa è un’immagine molto nota e cara alla storia dell’arte contemporanea perché ha permesso a Paul Klee di regalarci una delle definizioni più puntuali di cosa sia davvero l’arte nella contemporaneità e di che cosa si nasconde in realtà sotto l’enigma dell’arte non oggettuale, la cosiddetta arte astratta, così apparentemente distante dalla realtà. Vediamo come: la domanda più classica rivolta ai “contemporaneisti” è: «In che senso queste forme/colori/azioni incomprensibili interpretano la realtà? Ne sono così distanti!» Klee nella sua Confessione Creatrice svela in maniera immediata e semplice il ruolo imprescindibile della creazione artistica e la sua centralità in questo paradosso.
Grazie ad una curiosa metafora paragona il ruolo dell’artista a quello del tronco di un albero, secondo questa singolare visione:
L’artista si preoccupa di questo mondo complesso e in qualche modo vi si è orientato, possiamo crederlo, abbastanza bene. Così gli è diventato possibile ordinare la serie dei fenomeni e delle esperienze. Questo orientamento nelle cose della natura e della vita, questo complesso, ramificato assetto vorrei paragonarlo alle radici dell’albero. Dalle radici affluisce nell’artista la linfa, che attraversa lui e i suoi occhi. L’artista si trova dunque nella condizione del tronco. Incalzato e commosso dalla potenza di quel fluire, egli trasmette nell’opera ciò che ha visto. E come la chioma dell’albero si dispiega visibilmente in ogni senso dello spazio e nel tempo, così avviene con l’opera. Nessuno si sognerà di pretendere che l’albero formi il suo fogliame sul modello delle sue radici. È facile capire che non può esservi uguale corrispondenza tra la parte inferiore e quella superiore: funzioni diverse, che si esercitano in due campi distinti , devono per forza provocare forme diverse1.
Dunque le radici di un artista affondano nella realtà dalla quale è giusto trarre ogni ispirazione tramite un’osservazione sensibile, in seguito però la linfa creativa viene trasmutata dall’artista in qualcosa di nuovo, in un’espressione personale di ciò che è sotterraneo e invisibile. Sarebbe limitante pretendere che ciò che viene colto dall’artista nella realtà oggettiva venga poi riproposto sulla tela tale e quale e affatto rielaborato dalla creatività artistica– ugualmente sarebbe ingenuo aspettarsi che un albero riproponga le proprie radici al posto della chioma!-. Detto ciò, è necessario esplicitare quale sia il compito dell’arte secondo Klee: non è il ripetere le cose che sono visibili, ma il rendere visibile ciò che non lo è; l’arte pertanto deve riflettere lo spirito, l’energia, ciò che è intangibile, ineffabile, ma che unifica l’esperienza umana. In questo senso l’arte è una eterna similitudine della creazione «essa è sempre un esempio, come il terrestre è un esempio cosmico».[2] Klee vede risolversi così la dicotomia tra realtà/radici e arte/chioma di cui parlavamo: l’arte è diversa dal reale immediato pur essendo una forma che ne deriva ineluttabilmente, e l’unificazione di questi due mondi apparentemente inconciliabili e non comunicanti è possibile grazie alla mediazione creatrice dell’artista.
Banalmente, un esempio: un artista nella vita di tutti i giorni viene colpito dall’idea dell’inesorabile scorrere del tempo che coinvolge oggetti, luoghi e persone senza distinzioni. A questo punto la linfa creatrice gli indicherà che è possibile dipingere, secondo la sua personale sensibilità e intuizione, degli orologi sciolti e dalle forme strampalate che ricoprono un paesaggio surreale… Lo stesso succede nell’arte astratta ma con altri canoni di rappresentazione: questi si ramificano nel mondo della fantasia a partire dalla realtà, ad esempio dal colore e dalle forme geometriche, per citare le due più riconoscibili e comunicative anche per chi è digiuno di storia dell’arte. Pensiamo al percorso di astrazione degli alberi di Piet Mondrian: le prime tele acquisiscono dalla realtà tutto il naturalismo delle forme che l’occhio percepisce, ed ecco nascere la tela Albero Rosso (1908); in seguito con Albero Grigio (1912) l’astrazione si intensifica, il colore scompare per farci soffermare solo sulla linea della forma, fino ad arrivare a Melo in fiore (1912), tela dove l’albero non esiste più, esistono solo linee e colori che ne ricordano la disposizione nello spazio; eppure intuiamo che in qualche modo stiamo proprio guardando tronco, rami, foglie e fiori.
L’albero usato come metafora dell’essere umano è piuttosto diffusa nell’ambito artistico ampio – è facile pensare all’ultima opera che Anton Čechov scrisse per il teatro: Il giardino dei ciliegi, in cui il meraviglioso giardino è lo specchio-simbolo della condizione della famiglia aristocratica protagonista della pièce: all’inizio rigoglioso rifugio, memoria di tempi felici, dove tornare per rinfrancare l’animo turbato, poi terreno da vendere per recuperare denaro, in preda alla disperazione, ed infine tronchi abbandonati che vengono abbattuti nel clima di rovina e morte che avvolge tutta la proprietà.
Ma tornando al campo che ci compete c’è un altro artista che ha utilizzato l’albero come forma espressiva dell’essere umano, non nella sua produzione più nota ma senz’altro in opere dalla sensibilità commovente: stiamo parlando di Egon Schiele, famosissimo per i suoi ritratti erotici e molto meno per i suoi paesaggi. Schiele è un esponente dell’espressionismo austriaco di Vienna, all’inizio del Novecento, anche se qui non è possibile parlare di un vero e proprio movimento unitario – come ad esempio fu senz’altro l’espressionismo tedesco, un vero gruppo organizzato e uniforme – piuttosto possiamo parlare di singoli individui affini in pittura, ma che non si frequentavano necessariamente, anzi spesso facevano parte di “giri diversi”, come nel caso dei due maggiori espressionisti austriaci Kokoschka e Schiele. Pertanto emerge come caratteristica fondante della loro opera un forte individualismo nei temi pittorici, più che una vocazione sociale. Erano orientati all’autoritratto.
Allievo di Klimt, Schiele osserva lo stile del maestro ma se ne allontana quasi subito facendo emergere il proprio modo di vedere se stesso e le sue amanti/modelle: semplifica totalmente gli sfondi pittorici, eliminando le raffinate decorazioni bizantine tipiche di Klimt; rende il disegno protagonista delle tele, dove spicca un tratto crudo e nervoso, che ha tutta la forza dell’immediatezza sensuale senza fronzoli. La natura vibrante è soggetto prediletto nelle sue tele. E in effetti quadri come Nudo Virile (Autoritratto) (1910) o L’Abbraccio (1917) ci mostrano corpi nudi e nodosi, che affondano le radici in una forte tensione! Ma soffermarsi troppo a lungo sul dettaglio anatomico ci farà mancare il punto: la tensione spirituale è il soggetto nascosto del ritratto. Emerge in maniera prepotente dai diari dell’artista come la comunione spirituale tra Uomo, Natura e Divino sia il fine ultimo della poetica di Schiele: ed è per questo che è giusto accostare in questo articolo il quadro Albero Autunnale (1911) ai precedenti: questo è l’anello di congiunzione tra il ritratto e la natura morta, visibile nella forma antropomorfa dell’albero – o viceversa, nell’uomo a forma di albero?
Il ritratto-albero di Schiele esprime la tensione spirituale del corpo e dell’anima, la volontà di esprimere l’ascensione al mondo spirituale, tralasciando per una volta il sembiante dell’essere umano, forse per aiutarci a cogliere meglio il succo del discorso. È Schiele stesso a scrivere nei suoi appunti: «Il sentimento più alto è quello della religione e dell’arte. La natura è funzione; ma il divino è là, e io lo sento intensamente, con la massima intensità. Credo che non esista un’arte “moderna”; c’è solo un’arte, che non conosce interruzioni».
Note:
1. Paul Klee, Confessione Creatrice, tr. it. Francesco Saba Sardi, Abscondita, Milano, 2004, pp. 34-35.
2. Ivi, p. 20.