H. P. Lovecraft – A sud del paradiso

di Ivan Ferrari

///

In poesia, l’archetipo del rapporto fra ascensione e caduta non è stato solo un grande tema, ma è diventato anche stile. La bravura di autori come Lovecraft nel fondere l’horror con la ricerca di un sublime poetico ha dato vita a quello che può essere chiamato un “orrore metafisico”.

Per la terza volta, siamo quindi chiamati a comprendere quanto uniti e scambievoli siano i poli di questo concetto. Nel terzo numero, Blake ci ha mostrato come, nel suo cristianesimo personale, la Salvezza presupponga la Caduta. Nel quarto numero, Virgilio ci ha condotti nel buio dell’oltretomba per dare la luce al suo amato Impero romano augusteo. Dante seguì questo antico poeta nell’Inferno, lungo le vie più contorte che esistano, perché solo così facendo avrebbe ritrovato l’unica via veramente diritta, ormai smarrita tra le proprie e le altrui colpe. La verticalità è forse il concetto che più di ogni altro ha colmato il pensiero umano dei propri simboli e dei propri movimenti tipici.

Necessitiamo di una poesia che metta in scena questo andirivieni dell’esistenza, questo ottovolante di elevazioni e precipitazioni spirituali. La letteratura presenta molti personaggi intenti a migliorare se stessi, a innalzarsi sulle masse anche rischiando di cadere da quella conquistata altezza e farsi davvero molto male. Salire insieme a Nietzsche sulle vette dell’Engadina per trarne l’ultima rivelazione mistica della storia umana può essere pericoloso. Come disse questo filosofo di Röcken: “Se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”[1]. L’ottocentesco poeta francese Isidore Ducasse espose questo problema ne Les Chants de Maldoror, dove la riuscita uccisione di Dio non libera il tormentato deicida dai limiti della propria esistenza. Da mortali consumati, sappiamo bene che di abissi se ne spalancano numerosi e immensi sotto di noi, sopra di noi, tra noi e dentro di noi. Così, lungo qualsiasi cammino, è facile precipitare da qualche parte, in qualcosa o in qualcuno. Il cammino di ognuno raramente è lineare e frequentemente si alimenta di strani incontri.
Un incontro molto singolare che, per esempio, ha influenzato me, fu con una vecchia serie di libri editi da Fanucci per la magnifica collana Orizzonti.[2] Essi raccoglievano le opere di alcuni tra i primi e migliori autori americani dediti all’horror e alla fantascienza, degni eredi di Edgar Allan Poe, Lord Dunsany e Ambrose Gwinnet Bierce, i cui temi e stilemi erano stati innovati anzitutto da Robert William Chambers. Tra tali autori cito, a titolo d’esempio, Arthur Machen, William Hope Hodgson, Frank Belknap Long, August William Derleth e le restanti penne della rivista Weird Tales. Caposcuola di questa compagnia, però, fu Howard Phillips Lovecraft (1890-1937). Lovecraft ideò una vasta mitologia di divinità aliene, culti segreti, civiltà preumane e libri proibiti contenenti sconcertanti rivelazioni sulla natura dèmoniaca dell’universo. I suoi racconti continuano a riscuotere un grande successo mediatico, soprattutto per quanto concerne le figure che ruotano attorno al ciclo narrativo di Cthulhu. Chiaramente, il celebre solitario di Providence non fu principalmente poeta, bensì un eccellente scrittore, critico e saggista. Tuttavia, la poesia lo interessava moltissimo e scrisse oltre duecento componimenti. Trentasei sonetti furono pubblicati, alla fine del 1929, nell’antologia Fungi from Yuggoth. In quelle rime Lovecraft riversò tanto il suo gusto per l’orrore metafisico e trascendente, quanto quello per il sogno nostalgico di tesori racchiusi nella memoria e per i meravigliosi viaggi mentali in località troppo esotiche per essere comprese.
Nella poesia che propongo, un gruppo di archeologi si avventura tra rovine misteriose che non sembrano appartenere alla Terra così come noi la conosciamo. La loro sete di conoscenza è una tendenza all’elevazione, eppure li conduce verso il basso, in un incantevole pozzo di arcani che si rivela l’accesso a un’immensità ctonia sigillata con i prima sotto la superficie del pianeta. Ma, appena essi giungono alla scalinata che conduce a quelle tenebre inviolate dal sole, ecco che qualcos’altro invece sale lungo i gradini scolpiti. Si tratta di un essere grande, antidiluviano, potente, probabilmente malevolo e certamente privo di affinità con gli umani che l’hanno risvegliato. Con questa favola terrifica è possibile rappresentare i rischi di una conoscenza che si spinge verso l’ignoto senza le debite precauzioni.
L’I King afferma che la forza di un albero è nelle radici e i celti sembravano pensarla allo stesso modo quando raffiguravano la trisquetra, il simbolo dell’originaria natura occulta di tutte le cose, tra le radici aggrovigliate dell’Albero della Vita. Dunque ci spingeremo dapprima in basso per andare in alto successivamente, ma in basso, tra le cose da conoscere c’è l’Ombra di Carl Gustav Jung, la Horla di Guy de Maupassant, il signor Hide di Robert Louise Stevenson… Ci sono le conoscenze radicali del preconscio che possono afferrarci e sgomentarci fino a farci impazzire. Mentre noi scendiamo, queste cose salgono e solo controllando il loro potere possiamo salire a nostra volta senza poi precipitare. A una prima lettura superficiale, la lezione morale di Lovecraft sembrerebbe essere la rinuncia a una conoscenza eccessiva della nostra tetra realtà, eppure né lui, né i suoi personaggi sembrano disposti a proteggere il proprio intelletto al prezzo di una sua mancata espansione. Per tutta la vita, egli ha continuato a cercare quella chiave d’argento che schiude le porte della percezione tratteggiate da Blake. Dunque anche noi continueremo a seguirlo, per dirla con gli Slayer, molto “a Sud del paradiso”. Forse vi riusciremo tenendo presente che, come ci ha ricordato un nostro lettore [3], il pensiero orientale consiglia sempre di mettere sempre la vita dinnanzi alla morte per sviluppare il proprio potenziale.
Ci sono diverse traduzioni italiane di questo componimento [4], ma ho preferito realizzarne una mia e spero di non essermi preso troppe libertà nel tentativo di far combaciare la musicalità con il senso letterale delle parole.

XXXI. L’Abitatore
Era vecchia quando ancora Babele era in costruzione;
nessuno sa quanto dormì sotto quelle pendici
donde ne trassero le nostre vanghe indagatrici
i blocchi suoi granitici, rioffrendola in visione.
S’estendevano vasti basamenti e fondamenta,
e lastre diroccate e statue modellate a sembiante
d’esseri fantastici d’un passato assai distante
che questo mondo d’umane genti più non rammenta.
Poi vedemmo i gradini di pietra che scendevano
oltre un uscio ricolmo di dolomiti intagliate
diretto verso un cielo nero d’eterne nottate
che segni antichi e segreti primevi serbavano.
Ci aprimmo una via e follemente dovemmo fuggire
appena udimmo quei brulicanti passi salire.

XXXI. The Dweller
It had been old when Babylon was new;
none knows how long it slept beneath that mound,
where in the end our questing shovels found
its granite blocks and brought it back to view.
There were vast pavements and foundation-walls,
and crumbling slabs and statues, carved to shew
fantastic beings of some long ago
past anything the world of man recalls.
And then we saw those stone steps leading down
through a choked gate of graven dolomite
to some black haven of eternal night
where elder signs and primal secrets frown.
We cleared a path – but raced in mad retreat
when from below we heard those clumping feet.

 

Note:

1.  Friedrich W. Nietzsche, Al di là del bene e del male, tr. it. di Ferruccio Masini, Adelphi, Milano, 2013, p.79 (sentenza 146).

2. Cito, ad esempio, Nelle Spire di Medusa, Sfida dall’Infinito e I Miti di Cthulhu. Volumi pubblicati tra il 1975 e il 1976, sotto la direzione di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco per Fanucci Editore, Roma.

3. Mi riferisco al gradito contributo poetico del dottor Dante Goffetti che ci ha recentemente fornito una sua analisi artistica dell’esagramma Scì.

3. Mi riferisco al gradito contributo poetico del dottor Dante Goffetti che ci ha recentemente fornito una sua analisi artistica dell’esagramma Scì.

4. Fungi from Yuggoth è stato pubblicato in italiano con testo a fronte da Lorenzo Barbera Editore col titolo Gli Orrori di Yuggoth, traduzione a cura di Sebastiano Fusco, Siena, 2007.
er la terza volta di fila, questa rivista affronta un aspetto di della drammatica faccenda che della verticalità.

Autore

  • Laureato in filosofia, redattore della Rivista e socio collaboratore dell'Associazione culturale La Taiga dai giorni della loro fondazione, ha interessi soprattutto storici e letterari.

    Visualizza tutti gli articoli