Amenábar – Ascendere negli abissi del nostro mare

di Martina De Martino

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Due lotte di un tetraplegico: contro la malattia e contro l’eutanasia. Una interiore, nel pozzo del proprio malessere, una esteriore, per vedersi riconosciuta la vita e l’altezza della sua nobiltà, in ogni sua forma. Il film “Mare Dentro” conserva le due accezioni del termine: ascesa.

Nei numeri precedenti ci è stato chiesto di parlare della Potenza del Grande e successivamente dell’Accrescimento: due percorsi simili, protesi verso un simile sforzo di miglioramento e di nobilitazione di sé stessi, sia che trovi concretizzazione nell’azione individuale o in un atto collettivo di condivisione.

Giungiamo ora ad un nuovo momento di riflessione, che sembra quasi un’evoluzione naturale del percorso attraverso il quale l’I King ci ha finora condotto: l’Ascendere. Che cos’è l’ascensione se non un ulteriore lento e raffinato processo di miglioramento? Ascendere, sembra ovvio spiegarlo, significa muoversi verso un luogo più alto, salire, innalzarsi, e l’I King ci dice anche verso dove, con che meta: “Bisogna vedere il grande uomo”. Si tratta quindi di un percorso individuale di crescita e di strutturazione di sé stessi: un viaggio interiore che ci viene descritto come finalizzato a qualcosa di elevato e superiore, alla ricerca del grande uomo che c’è in noi, della realizzazione della nostra singolarità.

Ci sono tanti aspetti di questo cammino su cui ci si potrebbe soffermare. Forse faremmo bene a chiederci cosa definisca per un viaggiatore senza mappa e senza indicazioni il punto di partenza di questa salita, cosa faccia di un momento particolare il punto dal quale non si possa che iniziare a salire; ma credo, in realtà, che ciascuno di noi si sia un giorno trovato di fronte ad una parete da scalare, ad un momento “pivotale” dove fosse richiesto, con fermezza e inesorabilità, un cambio di ritmo nel proprio passo. Il punto di partenza, forse, siamo in grado di riconoscerlo; e quel che segue? Robert Frost ha scritto “Two roads diverged in a yellow wood /And sorry I could not travel both / And be one traveler, long I stood / And looked down one as far as I could / To where it bent in the undergrowth”1. Trovato il punto di partenza, tante sono le strade che possiamo percorrere; come scegliere quella che ci condurrà a vedere il grande uomo? Come capiamo che direzione dobbiamo prendere perché il cammino ci porti ad un innalzamento? E’ forse questa la domanda più interessante e più pregnante, il dubbio fondamentale di chiunque si trovi ad intraprendere un percorso di ascesa.

Di B3t - Copyrighted, wikipedia

Di B3t – Copyrighted Wikipedia

Per cercare una risposta a questa domanda, pensiamo al termine stesso “ascendere”: come ci ricorda il nostro direttore, ‘ascendere’ ha una radice etimologica profondamente ossimorica. Si tratta di un movimento verso l’alto, di un salto, di una salita, ma allo stesso tempo può significare cadere, discendere, muovere verso il basso. Il momento in cui si intraprende un cammino di ascesa può portarci verso le massime vette della nostra espressione individuale, o condurci verso i più profondi abissi della nostra interiorità. Ed è in questa luce che credo vada interpretato anche l’esagramma di sviluppo, Il Pozzo, che si presenta con la stessa duplicità che caratterizza l’ascesa. Cos’è il pozzo se non una fonte inesauribile di acqua limpida, un simbolo di vita eterna e di immutabilità, e allo stesso tempo un’obbligata discesa nel buio e nell’oscurità? Ma allora, mi chiedo, se la direzione è così indefinita e così tanti sono i percorsi poco illuminati e pieni di ostacoli che potremmo intraprendere, come è possibile che l’I King sia così certo che partire per il sud possa ‘recare salute’? Perché è così certo che alla fine del percorso si possa comunque ottenere un miglioramento e non si sia destinati a ritrovarsi soltanto i lividi di una rovinosa caduta? La risposta è forse nella linea 6, “Ascendere nel buio. Propizio è essere incessantemente perseveranti”. Oltre il buio c’è nuovamente salute, sul fondo dell’oscurità del pozzo c’è acqua limpida. Mi chiedo allora se l’I King non ci stia invitando a riflettere proprio su questo percorso di discesa e di caduta, più che di scalata, se non ci stia chiedendo di immaginare cosa possa trovarsi a sud, proprio oltre quel buio.

Per aiutarmi in questa riflessione, un titolo continua a ronzarmi nella mente (perché qui di cinema si deve pur parlare!): Mare Dentro, film del 2004 di Alejandro Amenábar. Il film racconta la storia vera di Ramón Sampedro, un pescatore spagnolo costretto tetraplegico a letto per 25 anni, che lotta incessantemente per il diritto all’eutanasia. Quello che viene raccontato è nulla di più che un tuffo in un mare profondo, un viaggio negli abissi della vita, un’ascesa verso il buio della morte, una ricerca e una tensione infaticabile verso la libertà. L’obiettivo di Ramon è il raggiungimento del grande uomo attraverso l’annientamento del grande uomo stesso, è trovare l’elevazione finale nell’annientamento, è affrontare una scalata verso il basso, verso il fondo del pozzo oscuro della paura e del risentimento, al termine del quale non c’è però che libertà. Il film racconta il percorso straziante e allo stesso tempo estremamente preciso e definito di un uomo che nella sua immobilità fisica più opprimente trova la forza per lanciare un feroce appello alla vita.

Se ben guardiamo, possiamo ritrovare negli eventi narrati dalla pellicola e nella storia vera di quest’uomo gli stessi elementi che secondo l’I King caratterizzano l’ascendere: fiducia, sincerità, perseveranza. Il percorso di Ramon ci indica come ascendere possa davvero voler dire muoversi verso il basso, calarsi cautamente nel profondo della nostra interiorità, per poi ritrovare una nuova linfa. Ci vuole fiducia, in noi stessi e in chi ci sta accanto. Ci vuole perseveranza e attenzione, perché, come Ramon ci insegna, la posta in gioco è la più alta: la possibilità di elevarci e di raggiungere la nostra sintesi, e non c’è nulla di più fragile. Quando ci troviamo di fronte a quel bivio, dobbiamo scegliere molto cautamente che strada intraprendere, in che direzione procedere; perché il percorso sarà certamente incerto e pieno di ostacoli, l’ascesi verso il basso sarà sicuramente così difficile che richiederà tempo e impegno sconosciuti: “Si ascende per gradi”. Anche l’I King lancia, infatti, il suo monito: “Si è quasi raggiunta l’acqua, e la corda non arriva fino in fondo, oppure la brocca si rompe, ciò reca sciagura”. Come una bottiglia rotta in mille pezzi non può essere rimessa insieme, la nostra interiorità, se dovesse infrangersi contro i muri del pozzo non potrebbe essere ricostruita.

Dalla lettura dell’esagramma 46 possiamo trovare elementi di guida e di consiglio precisi e universali, ma c’è un ulteriore aspetto che emerge da queste parole e che trova riscontro nella storia di vita che ci viene mostrata in Mare Dentro. La battaglia di Ramon diviene specchio ed espressione di un elemento che ritroviamo presente sia nell’Ascendere che nell’esagramma di sviluppo: “Nessuna macchia”. Questa forse è la lezione più importante: non ci può essere macchia nell’anelito di libertà così tenacemente espresso dal protagonista del film, non ci può essere errore nella sua perseveranza, seppur condotta con la massima cautela, perché il desiderio di morte non è qui che un’accezione del desiderio di vita. Seguiamo Ramon lentamente ascendere nel buio del suo animo, nell’abisso di quel mare profondo dal quale non può più emergere. Ramon ha scritto in una delle sue poesie: “Mare dentro, in alto mare – dentro, senza peso / nel fondo, dove si avvera il sogno: due volontà / che fanno vero un desiderio nell’incontro”. Nel fondo si avvera il sogno, al di là del pozzo c’è ancora luce, nessuna macchia.

Cosa vuole insegnarci quindi l’I King con l’Ascendere assieme al Pozzo? Vuole indicarci che non dobbiamo rifiutare un naturale percorso di discesa nella nostra interiorità, seppur pieno di ostacoli e di complessità, ma anzi, come esso vada abbracciato e affrontato, perché con gli strumenti giusti è l’unico cammino che possa portarci ad un miglioramento di noi stessi. Frost conclude: “I shall be telling this with a sigh / Somewhere ages and ages hence: / Two roads diverged in a wood, and I / I took the one less traveled by, / And that has made all the difference”2. La nostra singolarità è destinata a emergere ed il tempo non può essere ingannato: il percorso sarà lento, spesso ci troveremo impreparati, spesso faremo scelte sbagliate, spesso sembrerà non abbiamo gli strumenti giusti e dovremo fare un passo indietro, ma scegliere la discesa in noi stessi farà la differenza.

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