di Stefano Simonetta
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Cari amici de La Tigre di Carta,
un paio di articoli comparsi sulla stampa prima di Natale e, soprattutto, una serie di voci di corridoio (giusto ascoltarle tutte ma – come quando ci si informa su un docente prima dell’esame o dell’inizio di un corso – meglio sospendere il giudizio sulla veridicità di ognuna e coltivare la nobile arte del dubbio) hanno suscitato in alcuni dei nostri studenti una certa apprensione sul futuro del glorioso Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano (uno dei due soli Dipartimenti di Filosofia rimasti in Italia) e, in subordine, sul destino della Storia della Filosofia nelle aule del nostro Ateneo.
Ora, in risposta alle numerose domande rivoltemi in proposito nelle ultime settimane e alla vostra sollecitazione a esprimervi il nostro punto di vista al riguardo, credo importante chiarire in primo luogo come, indipendentemente dal possibile trasferimento di qualche collega altrove, l’offerta didattica rivolta ai sempre più numerosi studenti di Filosofia non subirà alcuna modifica o contrazione. Per fare un esempio, quand’anche mai in passato avessi deciso di spostarmi in un altro Dipartimento, se fossi stato convinto di trovarvi un contesto più adatto alle mie ricerche (spesso al confine fra storia della filosofia, storia delle idee e storia del pensiero politico) e migliori prospettiva di carriera, avrei comunque continuato a tenere regolarmente le mie lezioni all’interno del corso di Laurea di Filosofia, senza smettere di provare a raccontare ogni anno a centinaia di apprendisti filosofi un Medioevo il cui presunto buio è rischiarato da una molteplicità di luci del pensiero.
In secondo luogo, mi preme evidenziare come a mio giudizio le fibrillazioni che stanno contraddistinguendo il Dipartimento di Filosofia (fenomeno per nulla nuovo, del resto: da sempre, i filosofi discutono, anche animatamente!) non abbiano nulla a che fare con uno ‘scontro’ di natura culturale, come invece da taluni sostenuto o inteso: non siamo dinanzi a uno scontro tra analitici e continentali, né in presenza della progressiva scomparsa di alcune discipline “tradizionali” a vantaggio dei settori logico-scientifici o linguistici. Prova ne sia il fatto che tanto nella stragrande maggioranza dei docenti del Dipartimento quanto nel piccolo gruppo prossimo a lasciare compaiono studiosi che possono legittimamente essere collocati in entrambi i raggruppamenti. Si tratta, più banalmente, di vicende di politica accademica che, al di là delle loro motivazioni e di ogni valutazione nel merito, sarebbe stato preferibile non avessero condotto a una lacerazione del Dipartimento, come mai accaduto in passato, sebbene non mancassero certo tensioni analoghe (magari solo a rapporti di forza invertiti…).
Sgombrato il campo da questo equivoco, resta il nodo (sollevato nelle lettere di richiesta di trasferimento) del presunto snaturamento che il nostro Dipartimento avrebbe subito negli ultimi anni per via dell’arrivo di alcuni colleghi di discipline strettamente affini alle nostre (peraltro, in certi casi, già presenti nella nostra lunga storia precedente). Io credo invece che l’ingresso di questi colleghi (linguisti, psicologi, antropologi, sociologi, studiosi di intelligenza artificiale), oltre a contribuire in misura essenziale a mantenere in essere un Dipartimento che qualcuno voleva – e ancora vorrebbe – lasciar chiudere per mancanza di risorse umane (la Legge impone l’avvio della procedura di scioglimento per un Dipartimento che si collochi stabilmente sotto la soglia dei 40 docenti), ci abbia arricchiti, come d’altra parte avviene ogniqualvolta si ha il coraggio di mescolarsi, aiutandoci a superare l’ossessione di rischiare di perdere un’identità che invece, sin dalle origini del Dipartimento, si è fondata proprio sulla capacità di condurre ricerche interdisciplinari. Sono fermamente convinto che, come ci insegna uno dei più grandi intellettuali del Medioevo, Pietro Abelardo, il progresso del sapere e della ricerca passi inevitabilmente attraverso il continuo dialogo e il confronto con ambiti disciplinari diversi: perché solo così ci si affranca dalla paura di mettere in discussione ciò cui si è abituati.
Si tratta con tutta evidenza di una valutazione che non è soltanto mia, se è vero che il prestigio e la forza del nostro Dipartimento stanno crescendo continuamente, come testimoniano l’impennata nelle immatricolazioni, il recente approdo da altri Atenei di eccellenti studiosi che hanno scelto di venire a lavorare qui e l’assegnazione di un numero sempre maggiore di borse di dottorato (quest’anno 7, quota mai raggiunta) e assegni di ricerca (nel 2016 saranno ben 6), che offrono preziose opportunità ai nostri studenti. Tutto ciò rende davvero poco comprensibile l’atteggiamento di chi sembra scommettere sullo smantellamento di una struttura di ricerca capace nell’ultimo biennio di risalire la classifica dei Dipartimenti di UniMi.
Infine, ritengo importante sottolineare come le discipline storico-filosofiche siano e restino una componente fondamentale del nostro Dipartimento: un settore strategico su cui si sta investendo in misura crescente, come provato dalle scelte della programmazione (sono arrivati e sono in arrivo nuovi storici della filosofia) e a dispetto delle scelte di alcuni colleghi della nostra area disciplinare apparentemente prossimi a lasciarci. A questi colleghi, che motivano il loro eventuale trasferimento in un’altra “squadra” con il fatto che il Dipartimento di Filosofia starebbe smarrendo la sua anima, attraverso la progressiva riduzione della filosofia ad ancilla delle scienze, rispondo che, a mio parere, quell’identità culturale che si pretende minacciata e quella componente storico-filosofica di cui qualcuno lamenta la marginalizzazione si difendono – ove davvero ce ne fosse il bisogno – restando in quella che è la loro casa naturale, anziché andando a costituire improbabili poli concorrenziali, magari sulla scia di antichi rancori o sulle ali delle ambizioni personali di qualche docente.
Sono convinto che chi ha a cuore le sorti di questo Dipartimento debba rimanervi all’interno, pronto a far sentire la sua voce critica, se necessario, e disposto ad accettare l’eventualità di trovarsi in minoranza, come accade in ogni insieme di individui (universitas) retto da regole democratiche. Accade a tutti, nel corso della vita accademica, di attraversare fasi in cui si ha l’impressione che il proprio apporto alla comunità di ricerca di appartenenza non sia sufficientemente apprezzato e valorizzato, ma non mi pare che la reazione più adeguata sia migrare con l’intento di ricreare altrove quello che già c’è e funziona assai bene.
Grazie per avermi offerto l’opportunità di esprimere anche qui la mia opinione e lunga vita al Dipartimento di Filosofia!
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