di Marco Sassaro
///
Sarebbe bello poter dire che, in realtà, non esiste alcuna contrapposizione tra filosofia “analitica” e filosofia “continentale”.
Sarebbe bello poter dire che si tratta solo di un bisticcio fra pargoli un po’ precoci con una passione per Husserl e Frege, invece che per Peter Pan e Cenerentola.
Tuttavia, la filosofia non è una fiaba della buonanotte, e quando a bisticciare sono professori dalla rispettabilissima barba grigia, sai che la cosa andrà avanti almeno fino a quando una delle fazioni non avrà vinto il lecca-lecca.
Da un lato, gli “analitici” favoriscono un approccio più anglosassone alla disciplina, dove neuroscienze e filosofia si fondono e confondono nel calderone magico dell’insegnamento; dall’altro, i “continentali”, criticano la svalutazione della prospettiva storica, senza la quale, a detta loro, la pozione perderebbe irrimediabilmente in potenza.
Ad avere voce in campo sono, ovviamente, anche le cavie che berranno dal calderone: gli studenti. E questo studente, malgrado l’imperdonabile mancanza di bianchi e socraticissimi peli facciali, un paio di righe le scriverebbe comunque.
Sarebbe ingenuo e presuntuoso, da parte mia, cercare di disciogliere la questione introducendo una definizione arbitraria di “Filosofia”; tuttavia non posso che chiedermi se veramente alcuni filosofi siano storici e altri siano scienziati.
I filosofi che studiano la mente e il cervello, infatti, non sono mai esattamente “scienziati”. Allo stessi modo i “continentali” non sono mai esattamente “storici”.
Al contrario, filosofi “analitici” e filosofi “continentali” sono più simili tra loro di quanto i primi siano simili a scienziati e i secondi a storici.
Uno scienziato impara e conosce verità scientifiche. Uno storico impara e conosce verità storiche.
Un filosofo, tuttavia, sia che si consideri “continentale” o “analitico” non impara e conosce “verità filosofiche”, perché la stessa definizione di “verità filosofica” è per la filosofia un problema. Ciò che il filosofo impara e conosce è una struttura claudicante e non progressiva di pensieri che si criticano reciprocamente sotto ogni aspetto.
Ma perché delle figure che, in qualche modo, “non sanno nulla”, dovrebbero rivelarsi importanti nei campi della storia o della scienza?
Perché i filosofi studiano il pensiero in tutte, o quasi, le sue sfaccettature.
I filosofi offrono le proprie capacità di interpretare, criticare e valorizzare i dati offerti dalla ricerca storica o scientifica in modo da dischiuderne il vero significato e le vere implicazioni. Ovviamente con l’eventualità, deliziosamente filosofica, di moltiplicare i dubbi nel tentativo di arrivare ad una certezza.
Ed è proprio il dubbio che accomuna i filosofi.
È per mezzo della sua capacità di dubitare che il filosofo trova un ruolo nelle discipline scientifiche e storiche. Il filosofo della mente è preparato a interrogare i dati sperimentali in ogni circostanza, in modo da poter elaborare o dubitare di una teoria nella maniera più sofisticata (Teoria della Teoria o Teoria della Simulazione? Entrambe?). Allo stesso modo il filosofo che si dedica alla storia del pensiero può analizzare le radici culturali e storiche di una teoria, arrivando a dubitare della validità assoluta di quella teoria e persino della logica in sé (la metafisica è “solo” un Evento storico o un modo di ragionare intrinseco all’uomo?).
Filosofia “continentale” e filosofia “analitica” non sono che fiori di due sfumature diverse, rispetto al tronco del dubbio che li nutre.
E sono le radici di questo tronco che dobbiamo innaffiare affinché l’insegnamento della filosofia sia davvero utile. In altre parole, ogni insegnamento filosofico deve avere il carattere del dubbio, e non quello del dato di fatto o della probabilità tipica di storia e scienza.
Lo studio della logica e della mente ha la peculiarità di poter analizzare i meccanismi che producono il pensiero, e dischiude il dubbio riguardo alla struttura stessa di logica e credenza.
Lo studio della storia del pensiero ha la capacità, invece, di avere una prospettiva molto ampia, e dischiude il dubbio riguardo alla effettiva assolutezza di una teoria, di una prospettiva o anche della logica stessa, perché può analizzare il pensiero nella sua mutevolezza. È proprio grazie a questa prospettiva privilegiata che la tradizione etichettata come “continentale” può muovere critiche a interi movimenti e correnti di pensiero. Molti autori, tra i quali emerge anche il colosso Heidegger, hanno infatti mosso pesanti obiezioni alla filosofia della mente e della logica (così come a tutta la filosofia considerata allora “tradizionale”) e sarebbe un errore imperdonabile considerare queste critiche irrisolte come secondarie. La filosofia, infatti, non dovrebbe mai fuggire dal dubbio, ma, al contrario, sguazzarci allegramente dentro, nella speranza di trovare qualche scoglio fermo. O, al più, pesci dai colori affascinanti.
© Tutti i diritti riservati