La città che sale

di Federica Griziotti

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Una città che, nella forza del colore, sembra quasi esplodere: questo è il modo con cui Boccioni ritrasse lo sviluppo di Milano ad inizio Novecento. L’accrescimento di una città che, dall’industria ai primi panorami artistici, volle imitare i fasti di Parigi.

L’accrescimento è dunque uno sviluppo graduale, non improvviso, è un acquisire pian piano grandezza, forza, dimensione, vitalità. Come sempre, la bellezza dell’I King sta nella libertà di applicare ad un concetto tanto universale una veste più tematica… E nel caso dell’arte si può provare a pensare, mossi anche da avvenimenti di attualità più che ovvi, all’accrescimento della nostra meravigliosa città, Milano. Ovviamente non è il mio ruolo né tantomeno saprei iniziare a parlare della crescita e degli sviluppi in termini di urbanistica, né riuscirei ad essere esauriente in un discorso che parli dei mutamenti incredibili che la nostra città ha subito, anche solamente a partire dai primi del Novecento per arrivare ad oggi, con Expo. È comunque innegabile e sotto gli occhi di tutti che Milano sia un città che, anche senza voler andare troppo in là con gli anni, ha saputo evolversi e crescere esponenzialmente fino a diventare a tutti gli effetti un centrale nodo di convergenza delle voci e delle energie più diverse del nostro paese. Dunque per approcciare un materiale tanto vasto diventa necessario individuare un taglio preciso da utilizzare, scegliere uno sguardo singolare che possiamo seguire in maniera lineare e che sia in grado mostrarci un personale punto di vista sugli sviluppi di una città tanto grande e ancora in espansione.

In questa riflessione ci assiste la storia dell’arte e in particolare un pittore, non milanese di nascita ma per scelta: Umberto Boccioni. Dopo aver vissuto brevemente a Parigi, nella primavera del 1906, Boccioni afferma con euforia:

Da tutte le parti si sente Paris! Paris! Tutti parlano di questo cervello del mondo. E chi non è diretto a Paris sembra quasi un essere trascurabile! Pensate alle migliaia di carrozze e centinaia d’omnibus, tramvai a cavalli, elettrici, a vapore, tutti con l’imperiale e gli automobili da piazza, alla metropolitana che è una ferrovia elettrica che passa sotto tutta Parigi e i biglietti si prendono sotto gran sotterranei tutti illuminati a luce elettrica […] è qualche cosa di inverosimile1.

Parigi nel 1906 è la Ville Lumière: già negli ultimi decenni dell’Ottocento, grazie all’immensa rete di lampioni a gas, la città è illuminata anche di notte, perché è il luogo su cui tutto il mondo punta lo sguardo per l’Esposizione Universale del 1889, evento che si ricorda in particolare per l’inaugurazione della Tour Eiffel. Proprio in questi anni Boccioni si reca a Parigi colto da un’irriducibile febbre di innovazione, per scoprire le nuove tendenze della pittura, ma non vi si trattiene molto, anzi, giunta la fine dell’estate decide di viaggiare ancora e parte per la Russia, dove svolge la professione di insegnante per un breve periodo, invitato dall’amica Augusta Berdnikov in quello che ai tempi era il Governatorato di Saratov. Al suo rientro in Italia, affascinato dalla vita milanese che egli giudicava la più fervente, la più attiva e meno provinciale d’Italia, Boccioni si trasferisce definitivamente proprio a Milano nel 1907 e semplicemente osserva la realtà che gli si presenta davanti agli occhi. Siamo nel pieno della Belle Époque e l’Italia in questi anni è immersa nella cosiddetta età giolittiana, che vedeva protagonista a Milano una società in pieno sviluppo, una città in forte crescita, percepibile nel cambiamento della vita urbana moderna che si fa sempre più frenetica e dinamica.

Acquisiti a Parigi i linguaggi più moderni della pittura come il Simbolismo e il Divisionismo, Boccioni prova a sperimentare i due metodi artistici per rappresentare le contingenze di questo presente, ma qualcosa non lo convince fino in fondo; a questo periodo di fermento della città in evoluzione, infatti, corrisponde nella vicenda personale dell’artista l’irrequietezza del non riuscire a trovare una maniera espressiva propria ed esaustiva. La sua necessità è quella di rappresentare la società a lui contemporanea, in pieno sviluppo, e in quanto tale in forte contrasto con la campagna: convivevano infatti queste due anime della città in quello che oggi è il cuore del centro, ovvero i bastioni di Porta Romana. Qui nel 1907 era una normale scena quotidiana vedere gli operai alzarsi all’alba per recarsi al lavoro nei cantieri industriali, che al tempo erano zone periferiche della città, contornate da stupende vie di campagna che si opponevano alla metropoli con la loro bellezza essenziale. Ed è proprio questo il momento che Boccioni, affacciato alla finestra di casa sua, sceglie di immortalare in una delle prime tele milanesi Fabbriche a Porta Romana, del 1908, dipinta seguendo la tecnica divisionista, ma che nel soggetto – le altissime ciminiere delle industrie in lontananza- anticipa pienamente le tematiche del futurismo. Milano stava ridefinendo le proprie sembianze. L’evoluzione della vita della città si intreccia ancora con l’evoluzione dello stile personale dell’artista: ecco infatti che dall‘incontro con Filippo Tommaso Marinetti – che sul quotidiano francese Le Figaro il 20 febbraio 1909 aveva esposto posto le basi del movimento futurista – nasce lo stile futurista in pittura, votato alla celebrazione del dinamismo del mondo dell’industria e alla distruzione di ogni accademismo e dei temi più tradizionali nelle arti. Proprio a Milano i pittori Umberto Boccioni, Balla, Carrà, Russolo e Severini creano il Manifesto dei pittori futuristi nel 1910 e nell’aprile dello stesso anno il Manifesto tecnico della pittura futurista.

La città che sale 
U. Boccioni (1910-11), Olio su tela, New York, 
Museum of Modern Art, 199,3×301 cm

Il raggiungimento del pieno stile futurista collima con la volontà dell’artista di glorificare l’evoluzione industriale milanese e difatti nel 1910 l’artista recupera il tema trattato due anni prima nell’opera Fabbriche a Porta Romana e lo completa questa volta con quella che ritiene la modalità stilistica più adeguata. Nasce così la tela La città che sale, 1910: la strada vista dagli occhi dell’artista non muta inquadratura, ma qui la tematica centrale si converte nella totale glorificazione dell’idea del progresso industriale, soprattutto della sua forza ormai incontenibile. Un turbine verticale di energie rappresenta la città che sale, nei suoi immensi e moltiplicati cantieri, e il simbolo di questo impeto inarrestabile è il cavallo imbizzarrito posto al centro della composizione, inutilmente trattenuto dalle briglie rette al capo opposto dagli uomini che tentano di opporsi a questa forza ineluttabile. Durante un secondo breve soggiorno a Parigi Boccioni rimane colpito dalla forza che il cubismo ha nell’esprimere la simultaneità delle percezioni umane, e così tenta di far convergere questa forza nelle sue tele futuriste. Come già era successo qualche anno prima, una volta tornato a Milano prosegue nel tema a noi caro con una rinnovata carica espressiva e dà vita a La strada che entra nella casa 1911, tela sulla quale si esprime così

Dipingendo una persona al balcone vista dall’interno noi non limitiamo la scena a ciò che il quadro della finestra permette di vedere; ma ci sforziamo di dare il complesso di sensazioni plastiche provate dal pittore che sta al balcone: brulichio soleggiato della strada, doppia fila delle case che si prolungano a destra e a sinistra, balconi fioriti ecc. Il che significa simultaneità d’ambiente, e quindi dislocazione e smembramento degli oggetti, sparpagliamento e fusione dei dettagli, liberati dalla logica comune e indipendenti gli uni dagli altri2.

I palazzi convergono verso chi li osserva, gli operai e i pali delle impalcature danzano intorno alla figura affacciata al balcone comprendendola, la strada è ormai metaforicamente entrata nelle case di tutti, ed è un processo che volenti o nolenti riguarda ognuno in prima persona, oggi come allora. Possiamo forse concludere riflettendo sul fatto che Boccioni ha visto gli inizi di un rivoluzionario processo di accrescimento della città che tutt’oggi si sviluppa sotto i nostri occhi; questo ci accomuna e ci rende spettatori di un unico lungo percorso, che culmina nel presente con Milano città dell’Esposizione universale 2015. Non siamo poi così lontani sebbene siano passati praticamente cento anni…

 


Note:

1. B. Buscaroli, Ricordi di Via Roma. Vita e arte di Amedeo Modigliani, Il Saggiatore, Milano, 2010, p. 79.
2. U. Boccioni, Gli scritti editi e inediti, a cura di Z . Birolli, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 15.

Autore

  • Una laurea in Scienze dei beni culturali, una Summer School a New York e il lavoro a Milano presso una galleria d’arte non l’hanno resa incapace di parlare insieme a te dei quadri con lo stesso entusiasmo di una alle prime armi.

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