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di Sergio Bernini
Sergio Bernini vive fra Parma e Milano. Eppure, se si va alle note biografiche in fondo alla pagina, si può leggere che è nato a Houston, nel 1985. Aggiungiamo poi che la nostra intenzione è di presentarlo qui come fotografo, attività di cui si appassiona da molto tempo e cui si dedica con impegno, e tuttavia scopriamo che è laureato in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche.
Sembra proprio che qualcosa in lui lo spinga in una direzione mentre, contemporaneamente, i suoi forti interessi lo dirottano altrove: verso la fotografia e, con lei, verso un paesaggio da ritrarre. E qui, appunto, finisce per sdoppiarsi, forse per soddisfare due costanti curiosità: da una parte per i luoghi maestosi e deserti, come quelli che fanno da sfondo a Dubai, alla Monument Valley, a Petra e al Wadi Rum, dall’altra lo scenario urbano, a tratti prediletto forse, solo a patto però di assomigliare alla natura. Si mostrano cioè le grandi opere umane, – grattacieli, monumenti, costruzioni moderne, – come fossero il frutto di qualche fenomeno naturale. Sono assodate, presenti ed eterne persino, perché no?, mentre gli esseri umani o sono assenti, o sono una folla di tante comparse, pronta a riempire la città per darle senso. Ma la protagonista rimane lei: la città.
C’è n’è una in particolare che Sergio sembra amare, ed è Milano. A proposito di sdoppiamenti: con i suoi scatti, Sergio ci dice di essere passato per Istanbul, Londra, Praga, New York, Stoccolma, Berlino, ma poi pianta la tenda a Milano e le dedica un intero ciclo di immagini. Ognuna di queste – potesse trasformarsi in una lettera – finirebbe con l’assemblare, assieme alla altre, una serie di didascalie pronte a rivelarci qualcosa facile da dimenticare: Milano ha una grande storia e, insieme, è ormai una metropoli di respiro internazionale. Non si assiste ad alcuno scarto, infatti, se si guardano in sequenza prima le immagini prese dai viaggi intorno al mondo e poi i ritratti di Milano.
Tutti i monumenti di questa città parlano e ce lo dicono chiaro, se appena lasciati soli per un secondo. È un isolamento ciò che cerca in loro l’autore di queste foto, una sospensione che ricorda i famosi scatti di Irene Kung, visibili fino a poche settimane fa al Palazzo della Ragione assieme a quelli di altri artisti. Ma a differenza della Kung, le fotografie di Sergio Bernini non rinunciano al retroscena, anzi: il cielo intensifica le sue sostanze, le nuvole si accatastano, la luce diventa una miniera d’oro. Per ricordarsi di chi, in passato, chiese aiuto alla penna per omaggiare il cielo di Lombardia, non manca ormai null’altro.
Federico Filippo Fagotto