On n’emprisonne pas Voltaire

Oskar Wilde in carcere

di Gianluca De Rosa

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è poi giusto non imprigionare Voltaire, qualsiasi cosa dica? I reati d’opinione, il ruolo dell’intellettuale e il sacrosanto diritto all’errore

Il diciannove ottobre dell’anno domini 2015, Erri De Luca veniva assolto dall’accusa di istigazione a delinquere. Tutti conosciamo bene i fatti o siamo abbastanza bravi da far finta di conoscerli a fondo, quindi non mi dilungherò sul punto.

La prima sensazione dopo la notizia è un certo sollievo, più che altro perché avrei faticato a sopportare gli insulti alla magistratura che avrebbero senz’altro seguito una altrettanto possibile sentenza di condanna.

Una cosa però mi ha fatto pensare. Ho avuto la netta impressione che il caso Tav/DeLuca abbia spostato l’attenzione dalle parole usate dal De Luca (ossia dal reato che gli veniva contestato) alla lotta senza quartiere in nome della libertà di espressione, in un contesto quanto mai reattivo all’argomento.

Non sono il primo a scrivere dei «Charlie a intermittenza», individui capacissimi di prendersela con tutti i bavagli posti sulle bocche a loro affini e, nel frattempo, repentini nell’invocare altrettanti o più crudeli bavagli per chi diffonde idee a loro avverse (nel caso specifico razziste, sessiste, omofobe, magari di estrema destra o leghiste) [1]. Le stesse restrizioni che non dovrebbero esistere quando parla De Luca iniziano subito a vigere quando parlano Borghezio, Bossi, Storace; eppure Borghezio è stato condannato in primo grado perché ha pubblicamente diffamato il popolo rom [2], Bossi e Storace sempre in primo grado per vilipendio al Capo dello Stato [3]. Nessuno di quelli che oggi invoca la libertà d’espressione era l’altro ieri in aula con maglie nere e la scritta: «Je suis Bossì». Incredibilmente, nessuno si è indignato nemmeno nella mia homepage di Facebook. Strano: a questi figuri sarebbe davvero servito un po’ di sostegno, visto che li aspettava una sentenza di condanna.

Insomma, dov’era Charlie quando i Tribunali condannavano per reati egualmente d’opinione persone politicamente opposte rispetto a De Luca? Forse, come cantava De Andrè, Charlie «cadde mentre lavorava, e dal ponte volò sulla strada».

I paladini dei propri diritti e censori dei diritti altrui sono talmente diffusi e infervorati da sovrapporre molto spesso il loro bell’ideale a situazioni che non sono esattamente rivendicazioni serie od espressioni di un vero pensiero rivoluzionario, ma solo strafalcioni. Mi spiego meglio.

Leonardo Tondelli, raro caso di opinionista esatto, faceva notare come Erri De Luca, a differenza di altre grandi figure come Martin Luther King o Gandhi, si sia difeso [4] opponendo una buona resistenza al processo penale. Non ha tronfiamente confessato, atteggiamento che contraddistinguerebbe le vere e proprie disobbedienze civili e che segue l’ultima linea dell’esagramma di questo mese, «propizio è essere incessantemente perseveranti», soprattutto quando si sta combattendo per qualcosa in cui si crede.

Certamente per tutti quelli contrari alla Tav sarebbe stato più epico un esame dell’imputato in cui lo scrittore napoletano avesse sostenuto a voce ferma gli stessi pensieri riferiti in quegli interventi di qualche tempo fa: «La Tav va sabotata». «Le molotov e le cesoie sono materiale da ferramenta». «La Tav non si farà». «Il sabotaggio è l’unica alternativa».

E invece devono ricredersi quelli che se lo immaginavano ruggente e a spada sguainata, come un gladiatore tra i leoni: lo scrittore si è fatto assistere da ottimi avvocati, quando ha parlato in udienza (in quello che si definisce “esame dell’imputato”) ha in un qualche modo ritrattato, evidenziando come la parola sabotaggio possa avere molti significati e, mentre alcuni di questi sono nobili, solo altri sono criminali – cosa, se non falsa, quanto meno contestabile; ha spiegato di essere stato frainteso: il suo auspicio era che la Tav venisse in qualunque modo fermata, tramite un’alluvione, una frana, un guasto, delle spogliarelliste, e forse (ma solo in ultimo) anche una qualche azione violenta messa in atto con delle cesoie e tanto disprezzo per la propria fedina penale.

Il giorno della requisitoria del Pubblico Ministero, afflitto e a testa bassa, ha detto «oggi saprò quanta prigione mi spetta» [5].

E il nostro gladiatore statuario diventerebbe in un qualche modo un tenero cucciolo di gatto, o forse qualcuno che l’ha sparata un po’ troppo grossa e che si trova a dover giocare la parte della vittima cosciente e perseverante, per non fare brutta figura. Una sorta di squallido tip-tap cui è costretto da gente che vuole vederlo ballare.

La finzione riesce anche bene, come ha dimostrato con la comunicazione proprio del 19 mattina, dove difende il verbo “sabotare” «nel suo significato più efficace ed ampio» [6] (troppo efficace e troppo ampio, aggiungerei). In quello scritto pure afferma «aspetto di sapere se la mia parola contraria costituisce reato», truccando un po’ le carte, visto che a costituire reato non è la sua parola contraria ma l’istigazione alla violenza con cui ha condito le sue legittime rimostranze su un progetto dibattuto.

Guardando il modo in cui si è comportato recentemente, anche la sua dichiarazione più famosa sul punto, «per uno scrittore il reato di opinione è un onore», sembra una constatazione di quanto l’uva (o l’assoluzione) possa essere ritenuta un’alternativa tutto sommato piuttosto acerba. Forse qualche scrittore rinuncerebbe volentieri a tale onore, se potesse salvarsi da una paventata maximulta e da certi onorari degli avvocati, evitando tra l’altro di compromettere il proprio casellario giudiziale. Per consolidare l’aforisma ha pure detto che in ogni caso non ricorrerà in appello, ancora un compromesso con chi lo vuole un novello Spartaco.

Ma è poi giusto prendersela con qualcuno solo perché si sta difendendo in un processo che lo vede imputato? È un suo diritto sacrosanto, uno di quelli che davvero distingue un paese civile.

Ciò che in questo discorso non è un diritto è invece il sovrapporre a un uomo una propria idea oppure obbligarlo a sopportare un destino avverso solo perché così “fa più poeta romantico” o intellettuale dissidente. Ogni tanto bisognerebbe ricordare che il martirio, anche per i personaggi pubblici, famosi o influenti, non è un obbligo; forse Tondelli, da agiografo, è abituato a pensare che lo sia.

Erri De Luca in quell’intervista ha detto cose che magari oggi non ripeterebbe volentieri, nonostante sostenga l’esatto contrario; solo per il fatto di avere espresso dei concetti equivoci o troppo violenti con toni entusiastici è diventato (a malincuore) il vessillo di tutti quelli che difendono più la libera manifestazione del pensiero in quanto tale che non lo scrittore o la battaglia cui ha giustamente o meno aderito.

Ad alcune menti semplici, brave a confondere la politica con il diritto, piace ripetere come fosse un mantra che la libertà di espressione «è un diritto» e solo per questo non deve conoscere restrizione alcuna. Non posso che invidiare chi riesce a coltivare delle certezze così granitiche, ancorché sbagliate.

Tautologicamente, la libertà di espressione è una libertà. La differenza è questa: se il mio amico Paolo mi deve 10 euro, mi dovrò rivolgere a lui per riaverli, e “vanto un diritto” nei suoi confronti. Se voglio fondare un’associazione per la salvaguardia delle ventenni svedesi, è una mia libertà; nessuno può venirmi a dire che non posso farlo, ma non posso chiedere niente a nessuno. Quando io ho un diritto, qualcun altro ha un obbligo; invece nelle libertà non c’è una persona specifica a cui posso rivolgermi per far in modo che mi sia riconosciuto ciò che mi è dovuto; posso solo costringere tutti ad accettare che io tenga un determinato comportamento.

Il nostro Stato ci riconosce tante altre libertà, in generale tutelate addirittura dalla Costituzione, la legge più importante che c’è. Tra le altre, ricordiamo la libertà personale, che ci permette di fare tutto quello che ci piace (come ad esempio mangiare i gelati), la libertà di circolazione, che ci permette di andare ovunque ci piaccia (ad esempio a Chiavari), e anche la libertà di riunione, che ci permette di incontrarci con qualche amico (ad esempio Paolo).

Per farla breve, nessuno mi può vietare di andarmene con Paolo a mangiare un gelato a Chiavari, nemmeno fidanzate o mogli varie (che invece avranno certamente da ridire sulla vicenda delle ventenni svedesi). Tutti devono sopportare che io esprima le mie libertà, anche tutte assieme.

Come tutte le cose belle, anche le libertà hanno dei limiti. Nonostante io possa andare più o meno dappertutto, alcuni posti mi sono preclusi (ad esempio le proprietà private dove non sono gradito o le basi militari); se mi intrufolo in quei luoghi vietati rischio di essere sanzionato.

Nonostante di norma io sia libero di fare ciò che più mi piace, tale precetto non vale sempre; ad esempio non posso andare col mio amico Paolo a fare una rapina e non posso nemmeno uccidere il mio amico Paolo se non mi restituisce i 10 euro. Se decido di comportarmi in modi sbagliati rischio di essere punito. Funziona così perché ci sono altri interessi in gioco, a parte la mia voglia di scorrazzare a casa d’altri, di rapinarli o di uccidere Paolo; le nostre leggi tutelano la vita di Paolo e la proprietà privata e i portafogli della gente.

Anche la libertà di esprimere il proprio pensiero non fa eccezione. Sono libero di dire moltissime cose; in alcuni casi, però, se ci sono altri interessi in gioco, è il caso che mi morda la lingua, proprio come quando decido di non andare a casa d’altri o di non ammazzare il mio amico Paolo con cui ho appena mangiato un gelato, sperando che si decidesse a restituirmi i soldi che mi deve.

E così, se insulto qualcuno, risponderò davanti a un Tribunale del reato di ingiuria. Se denigro pubblicamente qualcuno, magari inventando fatti che lo pongono in cattiva luce o utilizzando fonti troppo incerte, risponderò davanti a un Tribunale del reato di diffamazione. Se diffondo idee razziste o difendo pubblicamente il fascismo sarò perseguito.

Tutti questi reati limitano libertà costituzionali, così come l’esistenza dei reati di violazione di domicilio, violenza privata, furto, rapina, estorsione limita delle altre libertà costituzionali. E fino a qua siamo tutti d’accordo, giusto?

E a questo punto, se mi auguro pubblicamente che si commetta un reato, che si perpetri una violenza con possibili ripercussioni sulla vita di altri individui, sarò chiamato a rispondere davanti a un Tribunale del reato di istigazione a delinquere, sia che io mi auguri un sabotaggio della Tav, sia che mi auguri l’uccisione di un novello Allende o la distruzione di un centro sociale.

In qualsiasi caso avrò modo di difendermi e mi saranno riconosciute tutte le garanzie che il nostro vecchio Stato accorda a qualsiasi persona si trovi sottoposta a un processo penale: avrò sempre il sacrosanto diritto a un avvocato, un giudice terzo e imparziale si occuperà di studiare il mio caso, dai legulei sarò considerato innocente fino a quando la sentenza non sarà irrevocabile, potrò chiedere che un secondo giudice si esprima nel caso in cui ci siano errori nella sentenza del primo e così via. E se il Tribunale riterrà di assolvermi, per un motivo o per l’altro, avrò pure la libertà di tirare un bel sospiro di sollievo.

Qualcuno poi arriva a sostenere che, essendo Erri De Luca un intellettuale, avrebbe una specie di libertà di espressione “sotto steroidi”.

D’altronde, come detto a gran voce dal difensore di De Luca nella sua arringa finale, anche quando chiesero a Charles De Gaulle di arrestare Sartre per via delle molte disobbedienze civili che egli seguiva nel maggio francese, il generale rispose: «On n’emprisonne pas Voltaire», «Non si arresta Voltaire», e non perché avesse confuso i due scrittori: intendeva dire che se uno mostra più spesso di altri le proprie sinapsi, allora avrebbe un patentino speciale per poter fare – questa volta davvero – tutto quello che gli passa per la testa, senza conseguenza alcuna.

Questa teoria è una boiata davvero micidiale: c’è un articolo – sempre nella nostra Costituzione, ma è roba riciclata da altre parti – nel quale si legge: «Ogni cittadino è uguale davanti alla legge», poco importa che si chiami Voltaire, Sartre, De Luca, Bossi, la sciura Luigia o Paolo.

In questo articolo ho usato almeno una dozzina di volte la parola “libertà”; forse è il caso di citarla ancora. C’è un’altra libertà, che non mi sembra sia contenuta all’interno della nostra Costituzione ma che tutti i bravi giuristi (soprattutto i bravi penalisti) conoscono bene: la libertà di sbagliare (accompagnata dalla libertà di ammetterlo e dal dovere di pagare); è quella che ci rende davvero esseri umani e proprio quella che qualcuno sembra voler togliere a Erri De Luca, solo perché ha difeso con termini eccessivi delle battaglie condivise o solo perché è un intellettuale.

Non vedo l’ora di leggere come il Tribunale di Torino ha motivato la sentenza di assoluzione, ma se dopo questa sentenza Erri De Luca la smettesse di incitare alla violenza e combattesse la Tav con parole meno «efficaci ed ampie» ma più esatte e più belle, quelle che molto spesso ha dimostrato di saper usare, forse sarebbe meglio per tutti.


Note:

[1] Alessandro Capriccioli mi ha battuto sul tempo proprio qui.

[2] la fonte è Repubblica.

[3] Ancora Repubblica.

[4] Ne scrive sul suo – bellissimo e intelligentissimo – blog.

[5] Sempre Repubblica.

[6] E invece stavolta è Il Manifesto.

Autore

  • Laureato in giurisprudenza – mio malgrado –, al momento tirocinante presso un giudice penale del Tribunale di Milano. Giacché è giusto definirsi con le cose che si amano e null'altro, posso inanellare alcune passioni, tra cui Milano, i ristoranti etnici e tipici, la birra, la scrittura, la musica (addirittura strimpellata), nonché i videogiochi, i giochi di carte e tutte le altre attività che escludono a priori una qualche retribuzione o il fare bella figura.

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