di Gabriele Pichierri
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Di grandi menti nella matematica ce ne sono fin troppe, ma a volte è da un piccolo errore che nascono le scoperte più innovative. Secondo i saggi cinesi fidarsi troppo della potenza è pericoloso. Vale la pena di correre il rischio se in gioco vi sono l’onore di un re e la stabilità dell’universo?
Quando ho assistito alla estrapolazione dall’I King del tema del mese ho provato un certo imbarazzo: di Grandi nella matematica ce ne sono fin troppi! Ma leggendo il monito cinese, «incombe il pericolo che ci si fidi della propria potenza senza chiedersi ogni volta se quanto si fa sia giusto», mi è subito venuto in mente un aneddoto che riguarda uno dei più geniali matematici e un suo errore paradossalmente fecondo.
Il nostro racconto comincia nel 1885, quando diversi giornali scientifici annunciarono la decisione di Oscar II Re di Svezia e di Norvegia di conferire un premio in occasione del suo 60º compleanno, il 21 gennaio 1889. Il Re desiderava dimostrare il suo interesse nel progresso della matematica; in palio, una medaglia d’oro e una somma di 2500 corone. I candidati avrebbero presentato una memoria su uno di quattro problemi proposti da una giuria composta dallo svedese ed organizzatore della competizione Gösta Mittag-Leffer e dai due massimi esperti di Analisi, il francese Charles Hermite e il tedesco Karl Weierstrass. Il primo dei quattro quesiti degni della riconoscenza di un Re riguardava lo studio del comportamento «di un sistema di un numero arbitrario [di corpi] che si attraggono l’un l’altro secondo le leggi di Newton». Una delle domande aperte della matematica era proprio la stabilità del Sistema Solare: i pianeti rimarranno sempre al loro posto o prima o poi Giove si troverà in rotta di collisione con la Terra e Saturno comincerà ad allontanarsi sempre di più fino a scappare dall’abbraccio gravitazionale del Sole?
Gli antichi avrebbero risposto affermativamente: il modello di sfere omocentriche di Eudosso e di tutti gli astronomi classici (Ipparco, Tolomeo…) prevedeva che i pianeti descrivessero delle circonferenze, curve perfette, quindi le uniche adeguate alla rappresentazione del mondo incorruttibile dei cieli. La rivoluzione copernicana avrebbe solo spostato il Sole al centro dell’universo mantenendo i pianeti in orbita circolare. Lo stesso Keplero provò ad adattare un’orbita circolare alle precise osservazioni di Tycho Brahe del moto di Marte, ma solo di fronte a ripetuti insuccessi abbandonò la circonferenza per scoprire l’efficacia dell’ellissi. La Legge di Gravitazione Universale di Newton applicata a un sistema Sole-Pianeta, e più in generale al Problema dei due corpi, confermava le Leggi di Keplero: il moto del pianeta è confinato ad un’ellissi per l’eternità. Ma se si considera l’intero Sistema Solare la teoria di Newton richiede di tener conto dell’attrazione mutua di ogni corpo con tutti gli altri. Certo, l’attrazione del Sole è preponderante rispetto a quella di ogni altro pianeta, ma nulla esclude che la presenza di questi non disturbi lentamente ma inesorabilmente la precisa orbita ellittica imposta dalla nostra stella. Ancora oggi facciamo fatica ad apprezzare il problema, avendo ereditato una visione millenaria del Sistema Solare come un perfetto meccanismo a orologeria. Conosco per esperienza personale lo stupore di molti nel sapere che mentre possiamo scrivere esplicitamente le soluzioni del Problema dei due corpi, cioè i loro moti al variare del tempo, già solo considerarne tre complica enormemente la questione: l’analogo Problema dei tre corpi, definito «il più celebre di tutti i problemi dinamici» da Whittaker, presenta numerose difficoltà che tengono occupati i matematici ancora oggi1.
In effetti, sebbene il problema proposto dalla giuria chiedesse di scrivere esplicitamente le soluzioni del problema degli n corpi, un concorrente si limitò ad investigare il cosiddetto Problema ristretto dei tre corpi: due di essi, detti primari, descrivono orbite kepleriane (per semplicità circonferenze) intorno al loro centro di gravità, mentre un terzo di massa trascurabile, detto planetoide, si muove sullo stesso piano dei primi due, soggetto alla loro attrazione (un tipico esempio è il sistema Sole-Giove-Terra). La memoria portava dunque il titolo Sur le Problème des Trois Corps et les Équations de la Dynamique, e se alla giuria vennero tenute nascoste le identità dei concorrenti probabilmente intuirono che dietro questa grande opera ci fosse la mente di Henri Poincaré. Lo scritto conteneva moltissime idee e tecniche innovative, e non è certo il caso di discuterle tutte, ma voglio soffermarmi su quelle che portarono ad una scoperta rivoluzionaria.
Invece che cercare le soluzioni esplicite, Poincaré intuì che si può ottenere una gran mole di informazioni studiando solo qualitativamente le evoluzioni possibili del planetoide. Se la massa di uno dei due corpi primari fosse in realtà nulla si ricadrebbe sul Problema dei due corpi in cui ogni possibile traiettoria del planetoide è un’ellissi e quindi è periodica: il planetoide si muove sempre sullo stesso circuito. Allora provò che se quella massa non è nulla ma “abbastanza piccola”, il Problema ristretto possiede ancora alcune soluzioni periodiche, e proseguì allora studiando le traiettorie “vicine” ad una periodica fissata, chiamiamola T. Come una palla su una collina si allontana dal punto di equilibrio per quanto vicina ad esso venga posizionata, anche le traiettorie inizialmente vicine potevano allontanarsi da T: in tal caso T è instabile, e siamo nella situazione catastrofica in cui la Terra si allontana inesorabilmente dalla regolare orbita ellittica. Considerò allora l’insieme dei punti per i quali passano traiettorie che si avvicinano alla traiettoria T (e lo chiamò superficie asintotica stabile) e viceversa l’insieme dei punti per i quali le traiettorie erano vicine a T e poi si sono allontanate (chiamato superficie asintotica instabile). Cercò di dimostrare che le due superfici dovessero coincidere, e pensò di esserci riuscito, e allora tutte quelle traiettorie che sembravano voler scappare da T dovevano in realtà ritornarvi: le chiamò soluzioni doppiamente asintotiche. E poiché le traiettorie non possono “attraversarsi”, Poincaré dedusse che vi sono delle superfici invalicabili che costringono tutte le traiettorie a rimanere intrappolate: Numquam praescriptos transibunt sidera fines2.
Di circa una dozzina di memorie presentate, quella di Poincaré era certamente la superiore, e il 21 gennaio 1889 Mittag-Leffer gli comunicò che si era aggiudicato il premio e istruì il giovane matematico Lars Edvard Phragmén di preparare il manoscritto per la stampa. Ma a lavoro finito, Phragmén portò all’attenzione di Mittag-Leffer alcuni «punti oscuri» su cui l’autore, nel suo stile non sempre preciso, aveva sorvolato. E in effetti, nel cercare di rattoppare la dimostrazione, Poincaré si accorse di aver commesso un errore. In ogni caso avrebbe meritato il premio, ma c’era un problema: la memoria era già stata stampata, e le prime copie distribuite! Così mentre Mittag-Leffer cercava in tutti i modi di fermare la distribuzione e inventava scuse per richiamare quelle già consegnate, Poincaré dovette procedere a modificare la memoria e finanziarne la ristampa, oltre 3500 corone, 1000 in più di quante ne avesse vinte! Ma fu così che l’abbaglio lo portò a scoprire un fenomeno del tutto inatteso.
Per dimostrare il suo Teorema, Poincaré aveva immaginato di tagliare lo spazio3 con un piano, detto sezione, e di registrare per ogni traiettoria le intersezioni col piano, dette orbite: una traiettoria periodica intersecherebbe in un numero finito di punti per poi ritornare sui suoi passi, e le due superfici asintotiche si riducevano a due curve sul piano, una stabile e una instabile. Poincaré voleva dimostrare dunque che queste due curve dovessero coincidere escludendo tutte le altre configurazioni, ma non aveva considerato l’eventualità che potessero intersecarsi l’un l’altra pur rimanendo distinte. In effetti dovette convincersi che questo fenomeno accade. Chiamò tali intersezioni punti omoclini, e si rese addirittura conto che se vi era un’intersezione omoclina, allora ce n’erano infinite. Nelle parole di Poincaré:
Si cerchi di immaginare la figura formata da queste due curve e dalle loro infinite intersezioni, ciascuna delle quali corrisponde ad una soluzione doppiamente asintotica. Queste intersezioni formano una sorta di intreccio, di tessuto, di rete a maglie infinitamente strette. Ciascuna di queste curve non deve mai autointersecarsi, ma deve ripiegarsi su se stessa in modo estremamente complicato per intersecare un’infinità di volte tutte le maglie della rete. Si resterà sbalorditi dalla complessità di questa figura, che non proverò neppure a tracciare. Niente è più adatto a darci un’idea della complessità del problema dei tre corpi.
Poincaré aveva fatto una scoperta matematica, fisica e filosofica cruciale. Ogni intersezione omoclina corrispondeva sì ad una soluzione doppiamente asintotica, ma l’esistenza di queste maglie infinitamente strette implicava un comportamento delle traiettorie estremamente complicato per seguirne i fittissimi meandri. Un tale sistema è molto sensibile alle condizioni iniziali: due punti arbitrariamente vicini possono seguire due traiettorie una stabile ed una instabile e muoversi su curve completamente diverse. Così anche un semplice sistema dinamico deterministico poteva presentare un comportamento altamente imprevedibile e complesso. Altro che stabilità, aveva scoperto il caos! Se ne rese conto lui stesso, scrivendo qualche anno dopo:
Può accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali diventino enormi nei fenomeni finali; un piccolo errore all’inizio produce un enorme errore alla fine. Una predizione diventa impossibile […]
Un battito d’ali di farfalla in Brasile causa un tornado in Texas, e il motto Numquam praescriptos transibunt sidera fines non sembra più tanto adatto. La domanda dunque rimane: cosa dire della stabilità del Sistema Solare? Lo scopriremo presto, se l’I King lo vorrà…
Bibliografia:
François Bégun, Poincaré’s Memoir for the Prize of King Oscar II: Celestial Harmony Entangled in Homoclinic Intersections, Chapter 8. di The Scientific Legacy of Poincaré, American Mathematical Society – London Mathematical Society, 2010.
June Barrow-Green. Poincaré and the Three Body Problem, American Mathematical Society – London Mathematical Society, 1997.
Antonio Giorgilli, I MOTI QUASI PERIODICI E LA STABILITÀ DEL SISTEMA SOLARE. I: Dagli epicicli al punto omoclino di Poincaré, in Bollettino della Unione Matematica Italiana, A 10, 55-83, 2007.
Note:
1. L’interesse non è solo scientifico o filosofico: quando le imbarcazioni si servivano della posizione della Luna per conoscere le proprie coordinate nel mare aperto lo studio del sistema Sole-Terra-Luna era di un’utilità estremamente pratica, come lo è oggi un sistema Terra-Luna-Satellite.
2. “Mai le stelle oltrepasseranno i loro limiti prestabiliti”, l’epigrafe che Poincaré scelse per la prima versione della memoria.
3. Per la precisione, lo spazio da considerare sarebbe quadridimensionale (le incognite del problema sono due coordinate per la posizione e due per la velocità del planetoide) ma potete pensare al familiare spazio tridimensionale.