di Federico Filippo Fagotto
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Quando il lettore de La Tigre di Carta – e con lui una buona compagine dei mortali – noterà la nuova rubrica dedicata al gioco del bridge, resterà forse confuso da un’impressione di svago paludato, noia assicurata ed invecchiamento precoce. Che fatica dimostrare che non è così. Che il bridge sta alla mente, all’istinto e al carattere come gli impulsi di un giovane curioso ai segreti di una donna! «Il sesso è come il bridge – ripetono sempre gli istrioni – se non hai un buon partner devi avere una buona mano» (i giocatori esperti me ne vorranno per quanto la citazione è abusata, ma se chiedessi loro di attribuirla a Woody Allen oppure a Peirce coglierei ancora qualche esitazione).
Un bridgista che, al contrario, dovesse notare il tema di questo mese – Il morso che spezza – e gli fosse chiesto quale aspetto del bridge gli viene in mente, avrebbe per assurdo le idee più chiare. Punterebbe il dito contro: lo squeeze!
Cos’è? È una strategia di gioco molto sofisticata, di cui qui non interessa il tecnicismo (per i temerari consigliamo di leggere il rovescio dell’articolo scritto per Bridge d’Italia). Basti capire che consiste in un atto di “compressione” perpetrato ai danni dell’avversario. Avete mai svolto un gioco in cui bisogna scartare? Altroché! Il torneo di Burraco fra amici, il Ramino al mare all’ora di pranzo o, da piccoli, i momenti concitati in cui si giocava a Uno oppure quelli frustranti con le Magic… insomma: immaginate che qui sia l’avversario ad imporci lo scarto, allo scopo di fare una presa in più.
Non è peregrina, allora, l’idea dell’americano Sidney Lenz di usare il verbo to squeeze (“spremere”, “schiacciare”) per descrivere questi tragici momenti. Il mio compagno di bridge – eh già, a bridge si gioca a coppie – aveva persino inventato un’espressione facciale a metà fra l’attonito e l’intimorito per farmi capire che era sotto “compressione”.
Scherza scherza… e intanto, se si fa attenzione, si noterà che lo squeeze è un colpo da maestro di difficile esecuzione. Il legame fra Il morso che spezza e l’Attesa ci torna assai utile. Per attuare uno squeeze secondo i crismi, occorre infatti che il giocatore esperto si prepari un preciso piano di gioco già a partire dalle prime carte giocate. Un’attesa silente, di cui l’avversario non percepisce l’ordirsi finché… zack! Troppo tardi.
Esistono vari tipi di squeeze, ovviamente, ma nel computo delle probabilità di occorrenza, stilato da Edward Wolfe, non compare certo il ben più ridicolo “falso squeeze”, quello cioè in cui l’avversario avrebbe avuto modo di non cadere in trappola, se durante l’inizio del gioco non avesse dormito della grossa non accorgendosi della minaccia in atto. Un risveglio brusco, dunque, sentirsi stritolati dall’“innocua” compressione in un gioco altrettanto innocuo come le carte. Ma se, come è capitato al mio maestro Steve Hamaoui, l’occasione di uno squeeze è il Leventrit Silver Ribbon Pairs di New Orleans, in cui in gioco ci sono soldi e gloria, il disagio è tangibile. Per fortuna si trovava sulla sponda giusta, quella di coloro che gli squeeze li fanno.
Per chi volesse cimentarsi con la mano, dunque, consigliamo di leggere l’articolo completo – Un clash squeeze da New Orleans, di Caterina De Lutio.
Vedrete un caso di clash squeeze, termine escogitato molti anni fa dal cinese Chien-Hwa Wang – corrispondente da Pechino del Bridge Magazine – per descrivere quella che verrà poi chiamata una «compressione d’urto».
Chissà se anche il nostro Wang aveva appena letto l’esagramma 21 dell’I King…