Soldati non-soldati

di Amedeo Liberti

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Hitchcock riesce a portare l’intero teatro di guerra su di una piccola scialuppa. Dal dolore dei civili alle scene nostalgiche di Kubrick e grottesche di Altman, si mostrano la debolezza e la forza dei soldati non-soldati contro i dispositivi dispotici dell’esercito.

Ho letto con interesse l’articolo Il soldato è già un esercito e devo dire che concordo con molte considerazioni fatte dall’estensore dell’articolo. Trovo piuttosto vera l’annotazione che,

ormai, in questo genere di pellicole si sia progressivamente imposto un vero e proprio canone narrativo. Lo schema di questi film è di sovente quello descritto: attraverso le vicende di un militare o di un gruppo di soldati, si tenta di suscitare il meccanismo d’identificazione dello spettatore, per meglio dar risalto alle atmosfere e alle vicende della guerra.

Per ovvie ragioni di spazio, nonché per la necessità di trattare genericamente l’argomento, credo che l’estensore dell’articolo tuttavia non abbia potuto accennare a quegli esempi che hanno cercato, nella storia del genere guerresco, di sfuggire a questa struttura. Vorrei pertanto ricordare io ai lettori alcune pietre miliari del cinema che hanno tentato una sovversione delle regole dei film di guerra.

La prima è Prigionieri dell’oceano (Lifeboat-1943) di Alfred Hitchcock. Un film importante, non solo perché descrive la guerra concentrando l’unità scenica nello spazio ristretto di una scialuppa di salvataggio, ma perché i protagonisti sono un gruppo di civili sopravvissuti all’affondamento della nave da parte di un U-boat nazista. Hitchcock, da maestro qual è, ci ricorda nel pieno del secondo conflitto mondiale che la guerra moderna è anche, se non soprattutto, qualcosa che coinvolge in primo luogo i civili. Alla fine del conflitto, giusto per citare qualche numero, oltre ai tristemente noti sei milioni di ebrei, dei venti milioni di morti tra i sovietici più della metà saranno civili. Aver fatto un film di guerra, senza che vi fossero protagonisti dei soldati, non solo non mi sembra innovazione da poco, ma una vera e propria operazione verità (soprattutto per un inglese residente a Hollywood dato che delle cinquecentomila perdite degli alleati USA- GB la gran parte invece furono soldati).

La seconda è Orizzonti di Gloria (Paths of Glory – 1957) di Stanley Kubrick. In questo film lo schema classico del genere è sovvertito grazie all’ibridazione con un genere letteralmente differente: il legal movie. Il protagonista è un capitano francese della prima guerra mondiale che tenta di salvare in un processo tre soldati, tutti condannati con l’accusa di codardia alla decimazione (la fucilazione esemplare di un soldato a caso ogni dieci). Il film di Kubrick ci ricorda che un esercito è in primo luogo un apparato burocratico e che, spesso, le logiche che lo muovono non hanno a che fare con valori militari, ma con quelle più prosaiche del carrierismo o della vendetta personale. Un altro film, pertanto, che tende ad assottigliare la linea di demarcazione fra vita militare e vita civile, ponendo un parallelismo tra l’organizzazione bellica e quella borghese, ugualmente investita da sistemi burocratici che, sovente, impongono agli individui e ai popoli condizioni di pari assurdità. Un concetto sintetizzato nella scena finale, dove un battaglione di soldati francesi in lacrime canta in una taverna assieme ad una donna tedesca che, tremante per la paura e per le derisioni appena subite, li conquista con una specie di nenia. In fondo quella “nemica” potrebbe benissimo esser loro sorella. Da lì a poco ripartiranno per il fronte, magari ad ammazzargli il fratello o il fidanzato.

Infine come non ricordare M.A.S.H. (1970) di Robert Altman. Film epocale perché qui, come nello stile che ha reso famoso il regista, la guerra viene raccontata in modo corale. Questa commedia bellica si inserisce apparentemente nel solco di film come Operazione sottoveste (Operation Petticoat-1959) seguendo le vicende guasconesche dei due protagonisti (entrambi chirurghi da campo durante la guerra di Corea). Il vero soggetto del film è però la pletora di personaggi, molti stravaganti e anarcoidi, altri ipocriti e bigotti, che popolano il campo. A un primo sguardo il messaggio di M.A.S.H. si presenta allo spettro opposto di quello di Kubrick. Ma solo a prima vista perché, seppure in maniera differente, ancora una volta, data l’ambientazione in una sezione militare impegnata a salvare vite più che a sopprimerle, il film tratta di soldati-non soldati (nel film di Kubrick erano soldati prigionieri del proprio esercito) ma ci mostra egualmente eroi impegnati a tracciare creativamente (con successo in questo caso) delle linee di fuga dai dispositivi dispotici che ogni esercito incorpora.

Autore

  • È redattore de La Tigre di Carta. Dopo gli studi di Filosofia e in Analisi e Gestione dell'Ambiente e del Paesaggio, si dedica alla sua terza grande passione assieme a Pensiero Teoretico ed Ecologia, fare il videomaker. Un suo corto "La Banalità Del Mare" è stato accettato al XIII Siena Short Film Festival. Oggi lavora come proiezionista per la Fondazione Cineteca Italiana. In pratica è sempre al cinema.

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