di Matteo Costanzo
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L’Aida, di cui tra febbraio e marzo cade la prossima rappresentazione scaligera, mostra la forza della sua trama: un coro di soldati e due guerre, una dentro l’altra, dei sentimenti e delle spade. Due donne, due comandanti e il gioco dello scambio dei ruoli.
Se quel guerrier / Io fossi! Se il mio sogno si avverasse!… Un esercito di prodi / Da me guidato… E la vittoria – e il plauso / Di Menfi tutta!1
Cairo, Teatro dell’Opera, vigilia di Natale dell’anno 1871. Per la prima volta il mondo schiude i suoi occhi dinanzi ad Aida, la grandiosa opera commissionata direttamente dal Kedivè (vicerè) per consacrare la grandezza dell’Egitto a seguito dell’apertura del canale di Suez. Dopo un iniziale rifiuto («non è mia abitudine scrivere pezzi di circostanza»), il Maestro si lascia convincere da quell’affascinante Egitto ed ecco che, pur in ritardo di un anno, va in scena Aida. Subito dopo l’ouverture, Radamès chiede a Ramfis, sommo sacerdote, se abbia consultato la dea Iside per conoscere il nome del generale che condurrà l’esercito egizio in guerra contro «l’Etiope» che si dice «ardisca / sfidarci ancora, e del Nilo la valle / e Tebe minaciar». Nel frattempo entra in scena Amneris, figlia del faraone e, visto lo sguardo sognante di Radamès, lo interroga sul motivo di una tale passione: è innamorata di lui e spera che il suo ardore possa provenire da una corresponsione di sentimenti. Proprio in quel mentre giunge Aida, etiope resa schiava, e il volto di Radamès si illumina innestando una pericolosa reazione nella principessa: che possa essere proprio Aida quella donna «degna d’invidia […] il cui bramato aspetto / tanta luce di gaudio in [lui] destasse»? In effetti i due si amano in gran segreto e Amneris subito subodora la cosa («Trema, o rea schiava, trema! Ah! Trema / ch’io nel tuo cor discenda!… / Trema che il ver m’apprenda / quel pianto e quel rossor!»). Ma ecco adunarsi la corte: un messaggero annuncia l’imminente arrivo delle schiere etiopi! Aida infatti, lungi dall’essere una schiava qualunque, è (e gli egizi ne sono all’oscuro) figlia di Amonasro, re etiope e comandante dell’esercito che minaccia il «sacro suolo dell’Egitto» per restituirle la libertà. Finalmente viene svelato il responso: il nuovo comandante è Radamès! Prorompe allora l’esortazione del faraone, che dichiara ufficialmente lo stato di guerra! E tra le grida festanti e i canti benauguranti del suo popolo (cui si aggiunge persino Aida che, accecata dall’amore per il bell’egiziano, gli augura di trovare la vittoria a discapito dei suoi cari), Radamès si reca al tempio di Vulcano per essere investito vero duce. Lì, in un’atmosfera di grande, sublime, solenne spiritualità, tra i fumi dell’incenso si sentono lontani i canti di preghiera: una melodia che non può che configurarsi come l’esatta immagine sonora dell’Egitto presente nella coscienza di ciascuno. Radamès riceve le sacre armi e, nel prorompere della sua potente invocazione al dio Fthà, conclude il primo atto 2 . Restiamo incollati alla poltrona. Anzitutto ci rendiamo conto di come la guerra permei Aida, la attraversi da capo a coda come una spina dorsale; è ciò che regge il discorso narrativo e incalza il susseguirsi delle immagini. In effetti, le guerre sono addirittura due: quella degli egizi contro gli etiopi e quella, forse ben più pericolosa, tra Amneris e Aida per il dominio del cuore del bel Radamès. Le potenze, durante questo primo atto, si sono schierate: abbiamo conosciuto la superba e altera bellezza di Amneris e la più calda e rustica bellezza di Aida. Aggiungete a queste figure dei rispettivi padri e, in mezzo a tutti costoro, Radamès. Allo stesso modo la figura del Signore, spicca tra le altre per giungere a dare due diversi ritratti del comando. La prima figura è quella di Amonasro, re etiope. Costui è proprio il Signore del primo esagramma: è re ma anche padre, guida il suo esercito in battaglia per salvare la figlia resa schiava, è partecipe della vicenda in prima persona. Si intuisce come abbia, con il suo popolo, un rapporto paterno, quasi intimo; si trova in uno stato quasi “acerbo” nell’organizzazione della collettività. Il faraone, al contrario, è il Signore dell’esagramma di sviluppo: nelle scene si trova sempre in una posizione elevata, non ha contatto con alcun personaggio, quasi non parla, ma le sue labbra profferiscono solenni parole che instaurano lo stato di guerra e infuocano gli animi del suo popolo. Egli non scende in campo, guida le sue forze dall’alto. Radamès, in ultimo, è una figura intermedia: non è re, ma viene nominato comandante dell’esercito. In effetti, pur desiderando la gloria che viene dalla vittoria, pur agognando il raggiungimento del suo sogno d’amore, non sembra essere infuso di quella potenza autentica e tipica del comando: comandante designato non sembra poter esserlo di sé stesso, in balia di due amori contrastanti e della sua anima di guerriero. Ma ecco che il sipario si alza di nuovo, regalandoci altre emozioni… Amneris, tramite uno stratagemma, riesce ad ottenere la conferma dell’amore di Aida per Radamès e, finalmente, le due si dichiarano apertamente guerra. Proprio sul finire del primo conflitto dell’opera, mentre l’esercito egizio torna a Menfi trionfante, viene ufficialmente dichiarato il secondo. Ma ecco squillare le trombe: Radamès sta tornando vincitore! Ha inizio la grandiosa Marcia Trionfale3 : tutti giungono a rendere onore al condottiero che ha portato l’esercito alla vittoria. Il faraone promette che «nulla» a lui « negato / sarà in tal dì – lo giuro / per la corona mia, pei sacri numi». Ma Radamès vuole innanzitutto mostrare al faraone i prigionieri, tra cui si nasconde Amonasro, il re nemico, che fingerà di essere un soldato qualunque, pur ammettendo di essere il padre di Aida. Come potrebbe ora Radamès non chiedere, nel giorno della sua glorificazione, la salvezza per la gente di colei che ama? Malgrado la diffidenza di Ramfis, al fine il Re concede, come promesso, di accogliere la richiesta del suo nuovo eroe: solo, «arra di pace e securtà», resterà presso gli egizi il padre di Aida. Tutto sembra concludersi nel miglior modo, ma ecco giungere inaspettato un detto del faraone: «Di sicurtà, di pace un miglior pegno / or io vuò darvi. – Radamès, la patria / tutto a te deve. – D’Amneris la mano / premio ti sia. Sovra l’Egitto un giorno / con essa regnerai…»). Si scatena al termine di queste parole uno dei più grandiosi e bei finali del mondo dell’opera: si amalgamano in una le voci di giubilo del popolo, il canto riconoscente dei sacerdoti, la soddisfazione di Amneris («Dall’inatteso giubilo / inebriata io sono; / tutti in un dì si compiono / i sogni del mio cor.»), la disperazione di Aida e Radamès e il funesto rimuginare di Amonasro sulla prossima vendetta; il tutto mentre impazza l’orchestra accompagnando con ottoni di maestosa gloria la chiusura del sipario4 . Abbiamo ricevuto la conferma dei nostri sospetti: pur dipinta come quella del primo tra gli eroi egizi, è quella di Radamès la figura più debole, più indifesa dell’opera. Strumento nelle mani ora di Aida, ora di Amneris, ora degli dei, che lo utilizzano per i loro scopi, non riesce a costruirsi un suo disegno, ad essere vero artefice del suo destino. Ecco la sua disfatta: nel giorno della massima gloria, preda della nobiltà d’animo ha chiesto la libertà per i prigionieri etiopi e ora è costretto a seguire i voleri del faraone e unirsi ad una donna che non ama. «D’avverso nume il folgore / sul capo mio discende… / ah no! D’Egitto il soglio / non val d’Aida il cor.»… Amneris si prepara ai riti nuziali, recandosi al tempio a pregare la dea Iside, mentre Aida attende Radamès in segreto convegno. Giunge Amonasro: ha colto esattamente lo stato delle cose e sa che Aida vedrà l’eroe egizio. Il suo piano è relativamente semplice: Radamès, amando Aida, non potrà rifiutarsi di dirle «qual sentiero seguirà» l’esercito del faraone per riversarsi sugli etiopi già di nuovo in armi, permettendo al re di preparare un attacco finale ai danni di Menfi proprio mentre tal sentiero sarà deserto. Di fronte alla reticenza della figlia, il sovrano replica con dure parole: «Flutti di sangue scorrono / sulle città dei vinti… / […] per te la patria muor! […] Una larva orribile / fra l’ombre a noi s’affaccia… / trema! le scarne braccia / sul capo tuo levò… / Tua madre ell’è… ravvisala… / ti maledice…». Aida è sfinita e, mentre si piega al volere del padre, giunge il suo amore. Radamès spera, vincendo gli audaci nemici una seconda volta, di poter ottenere dal faraone la rottura del fidanzamento con Amneris e la mano della schiava. Ma Aida non ne vuole sapere, teme «d’Amneris il vindice furor» e propone una strada diversa: la fuga, l’abbandono del suolo natio per seguire le passioni del cuore. Un’altra volta, Radamès non può che cedere ed assecondare la sua amata, consentendo di fuggire per poter vivere con lei. Ma dimmi: per qual via / Eviterem le schiere degli armati? […] / Le gole di Nàpata. Ed ecco palesarsi Amonasro, «d’Aida il padre e degli etiopi il re!». Giungono anche Amneris, Ramfis e le guardie e, nello scompiglio più totale, mentre Aida e suo padre fuggono, ecco ergersi Radamès e dire: «Sacerdote, io resto a te!». Radamès è finalmente sorto: dall’abisso tenebroso in cui si trovava, si leva rivestendosi di fulgida gloria. Raggiunto il fondo, usato e abusato da tutti, una volta perso l’onore dinanzi a quel popolo che lo acclamava suo eroe, proprio allora trova la forza di staccarsi dagli altri, di svellersi dalle soffocanti pressioni del mondo: ora è lui solo davanti al suo destino, vero comandante, vero signore dell’universo in virtù della signoria su sé stesso. Buffo: il tanto agognato «plauso di Menfi tutta» non ha saputo donargli quella determinata e ferrea volontà che trova nel baratro della vergogna. Non ha più nulla da perdere, diviene perciò signore del tutto. Ecco che la commovente conclusione del terzo atto ci offre la conferma dei nostri sospetti: la più interessante figura, sotto il profilo del Comando, è Radamès. L’ultimo atto ci mostra una desolata Amneris, fuori dalle sale del tribunale, che ode di fuori lo svolgersi dell’udienza5 . Durante questo passo, i giudici chiedono a Radamès di discolparsi ben tre volte, e per tre volte non un fiato profferisce il guerriero. Ed ecco la sentenza: «Radamès, è deciso il tuo fato; / degli infami la morte tu avrai; / sotto l’ara del nume sdegnato / a te vivo fia schiuso l’avel». A nulla valgono le preghiere straziate di Amneris: lo sventurato viene chiuso vivo in un sotterraneo, ad aspettare la morte. Ma questa favolosa opera ha un ultimo “asso nella manica”: ecco levarsi il pavimento del palco, offrendoci una doppia visuale del mondo fuori e dentro la tomba di Radamès. Mentre questi volge il suo ultimo pensiero ad Aida, eccola apparire: si è intrufolata in quell’antro per morire con l’uomo che ama, per suggellare eternamente il loro legame nella morte. I due giacciono, una al fianco dell’altro, mentre Amneris, vestita a lutto, porta un lume sulla pietra che chiude il sotterraneo. La grandiosa opera d’Egitto termina così come è cominciata: in uno straziante pianissimo. Pace t’imploro – martire santo… / Eterno il pianto – sarà per me…6
Note:
1. A. Ghislanzoni / G. Verdi, Aida, 1871.
2. Si veda l’esecuzione scaligera del 2006 (direzione: R. Chailly – regia: F. Zeffirelli).
3. “Gloria all’Egitto”
4. Si veda sempre la magistrale esecuzione scaligera del 2006.
5. “Ohimé! Morir mi sento”
6. “O terra addio” – finale atto IV