Il morso che trascende le note

di John De Martino

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La musica che si cova dentro, come un falò notturno, e che – attraverso la pratica incessante – attende di venir liberata in un morso sonoro, un “colpo di frusta”, così come viene descritta anche in un recente film incentrato su di un batterista.


Per quel che può intendere di cultura orientale colui che di musica occidentale riempie i suoi giorni, l’I King stavolta ha iniziato a fare sul serio. Offro dunque ai lettori una visione estremamente prosaica del materiale che l’esagramma 21 porta all’attenzione dei lettori, confidando nella buon’anima degli stessi.

«Che cosa sto facendo? Costruisco un solido impianto di specializzazione attorno ad uno strumento di precisione al fine di esporre una consolidata e consapevole serie di note fruibili. Perché lo sto facendo? Mi realizza. È una mistura di sensazioni, nella quale i due poli del nostro vivere, quello fisico e quello intellettuale, si sposano secondo per secondo in un atto di consegna: porto il mio lavoro, la mia dedizione quotidiana ma anche la mia innata musicalità, nelle mani di un orecchio disattento, moderato, tuttavia avido di meraviglia, sconcerto, sorpresa. Oggi ho studiato molte ore, la mia autostima come futuro professionista si alimenta in ore di applicazione severa. E’ una vita estremamente ligia la mia, ne sono orgoglioso; è una religione severa. Oggi ho fatto tanto così, domani spero di andare oltre. Tutto vero, ma non è certo il momento di riflettere tanto intimamente: poche storie, sono il musicista, devo studiare».

Tronfio, il musicista stipula periodicamente nella propria testa una lista di elementi che lo galvanizzano, permettendogli di ottenere la determinazione giusta per focalizzarsi sulla sua costante occupazione quotidiana. Ha una mente estremamente organizzata e schematica, tutto può comportare la creazione di una lista o di un modello. Il musicista modello, però, stavolta devia leggermente il suo percorso.

«Oggi ho deciso di fare una cosa che non ho mai più di tanto condiviso. Sono sempre stato dell’idea che prima di esporsi al temibile pubblico uditore sia il caso di raggiungere un ottimo livello, la mancanza di stima per i non studiosi della musica ha tendenzialmente fatto il resto, fino ad oggi. Stasera è diverso, ho voglia di espormi e lo farò con l’entusiasmo di un bambino. Andrò ad una serata di musica dal vivo e suonerò, suonerò e suonerò ancora davanti agli occhi di tutti».

La serata dunque inizia, il complesso che apre le danze conclude il suo breve repertorio, è il momento di far salire sul palco qualche coraggioso musicista volontario. Ecco che la più nefasta serata della vita del musicista può avere inizio: tutto va storto dalla prima all’ultima nota, tutto ciò che esce dal palco è estremamente ovattato, incerto, aritmico e monotono; tutto ciò che attraversa la mente del musicista può tradursi in una linea intera, dritta, impassibile. Lo schema, il disegno della serata che il povero musicista aveva composto nella propria mente va a disfarsi tra rumori, spasmi armonici, suoni indistinti e sconnessi e disinteresse del pubblico. Poteva andare peggio, e così è andata. A questo evento, inevitabilmente, è necessario apporre un’intima e riposta riflessione.

«Sarà davvero stata tutta colpa mia? Mi hanno insegnato che in musica non esiste qualcuno in possesso di colpa o di torto. Occorre prendere una deviazione al percorso, qualcosa che mi permetta di ricostruire i miei passi. Siamo di fronte ad un risvolto estremamente delicato di un argomento che riempie, momento per momento, il mio vivere giorno per giorno. Con questo, ripongo lo strumento per un periodo».

Che cosa può portarlo ad ottenere la risoluzione dell’inguaribile dubbio su se stesso? Il tempo. Ciò che lo stesso protagonista cercava di combattere ogni giorno, riempiendo le proprie ore di applicazione, si dimostra essere l’unica via per trovare risposte. Il guerriero, notoriamente sicuro dei propri mezzi, ripone l’arma dopo una battaglia ed una retta via persa: il musicista inizia a cogliere le sfumature della modestissima vita quotidiana, apprezzandone i piccoli mutamenti, arrivando a determinare lo strabiliante valore del tempo per ogni singola entità, che di riflesso, proprio come una grande scoperta archeologica, viene colta in divenire. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto cambia.

Passa del tempo, le temperature modificano la loro media, gli alberi cambiano radicalmente il loro aspetto. Con i giorni che scorrono, il musicista ha trovato tanti nuovi nodi da slegare, nuovi parametri su cui giudicare la qualità della propria vita e del proprio percorso. La musica rimane dentro di lui come un falò di notte: ormai quasi nessuno è rimasto a vegliarlo, ma di certo questo non si spegnerà; rimarrà in attesa che qualcuno prima o poi arrivi con legna nuova da ardere, ma soprattutto nuove mani da riscaldare. Si dà il caso che in una piovosa serata, prima che faccia buio per davvero, il musicista si ritrovi seduto su dei gradini adiacenti ad uno stradone di periferia, in discesa, in picchiata. Le macchine sfrecciano, così come i suoi pensieri. La pioggia, nel qui ed ora, sembra aver portato una sorta di nutrimento dall’alto. Qui, l’attesa è il vero elemento. Il problema è stato chiarificato, il tempo ha dato modo all’attesa di esaurirsi, è dunque ora di mordere, spezzando.

Rimango spesso atterrito quando sento, vedo o vengo a conoscenza di personaggi legati professionalmente alla musica. Con la profonda sensibilità che caratterizza quasi tutti coloro che ne vengono a far parte, inevitabilmente ogni storia e ogni situazione si riempie di delicati riflessi della vita dei protagonisti. Mi viene in mente l’esempio di alcuni, giovani speranzosi e fortemente determinati, che legano il proprio ambizioso percorso ad una certa figura di riferimento, dalla quale ottengono una sorta di sindrome di Stoccolma leggermente rivisitata. Provano ansia costante, paura, esasperazione nervosa dovuta al bisogno di perfezione, ma nonostante questo rimangono devoti a colui che in loro fa nascere tutti questi conflitti interiori. L’immagine è quella di un essere malvagio a cui volere bene per forza, nonostante tutto, nonostante tutti.

Questo esempio può essere di riflesso legato alla figura di Andrew, il giovane musicista che nel film Whiplash (2014) si ritrova sballottato da una parte dal senso di totale disperazione per l’ansia da prestazione che lo porta a studiare più che può, dall’altra da un enorme senso di responsabilità. Tutto dovuto alla fortissima presenza del suo insegnante al conservatorio, che lo mette profondamente alle strette, si vedrà, per stimolarlo, considerate le sue grandi potenzialità. Il film, diretto da Damien Chazelle, cerca più che può di dare spazio, nel mondo della musica professionale, alle tremende sensazioni di un ragazzo di neanche vent’anni alle prese con qualcosa che, sul momento, sembra non essere nelle sue corde. Whiplash, letteralmente “colpo di frusta”, utilizzato non a caso dall’ideatore del film, si sposa bene con la fermezza, la durezza, il colpo vigoroso da attuare necessariamente per risolvere il problema che, con la stessa chiarezza e fermezza, è stato individuato e definitivamente decodificato dall’attesa. Per non farci mancare esempi illustri, in una jam session degli anni ‘40, dopo una performance indecente avvolta dall’eroina, Charlie Parker si vide arrivare in faccia un piatto della batteria lanciato dal mitico Papa Jo Jones, estremamente schifato e stufo degli eccessi del sassofonista. Da quel giorno, schivato per un pelo quell’ottovolante di metallo, Parker si rimise in riga e migliorò le sue prestazioni, seppur nel limite del possibile.

«Cambio strumento. La mia vita non sarebbe mai potuta andare in una direzione opposta o soltanto diversa dalla musica, non è certo altro che cerco. Cerco una realizzazione intima, un senso di distacco dalle formalità e dai dettami dello studio mnemonico e atletico che l’esercizio in sé obbliga a sviluppare. Il mio intento, qui, nasce e cresce in un’ottica esclusivamente artistica votata alla fruizione, alla soddisfazione emotiva del prossimo che, ora, di fronte a me, percepisce un momento lungamente più interessante e profondo di quanto avrebbe pensato conoscendomi esclusivamente con una stretta di mano. Ora partirò, inizierò a mettere le mani su questo nuovo arnese di precisione, delineerò solo con il tempo una filosofia che mi terrà ancorato a ciò che è arte, a ciò che mi delimita, separandomi da un esecutore di grande spessore. Lascerò spazio al colore che ogni singola nota potrà mostrarmi, viaggiando e scorrendo su di essa come chi, finalmente, ha trovato la strada di non ritorno».

Questo mio modo di intendere il ventunesimo esagramma dell’I King, con il suo inesorabile sviluppo, ha voluto in un certo senso esprimere sensazioni che mi riguardano personalmente, senza dimenticare i simboli pregnanti di questo esagramma. Piuttosto che andare a scavare come un filologo elementi musico-storiografici da associare al Libro dei Mutamenti, ho pensato che una visione personale del percorso che il Libro indica fosse il metodo più sincero per far trasparire candidamente i temi dell’esagramma.

immagine articolo musica- whiplash

Whiplash
From Don Ellis (1973), recording called Soaring. Composed by Hank Levy.

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