Capitolo 4
di Luca Bernardi e Ilaria Iannuzzi
Abbiamo visto come a porre fine all’alleanza tra Vlad Dracul e Mattia Corvino fosse una certa differenza di vedute sui mercanti sassoni: il primo si dilettava volentieri a impalarli, il secondo intendeva proteggerli. Abbiamo l’occasione di capire meglio chi erano costoro fermandoci a Sighișoara.
Fondata nel XII secolo da coloni sassoni, la cittadina divenne presto un nodo strategico sia sul piano politico sia su quello commerciale. Oggi nove delle quattordici torri originarie che la cingevano ci suggeriscono, con i loro nomi, chi era a farne la ricchezza: la Torre degli stagnai, dei macellai, dei calzolai, dei sarti, dei pellicciai, dei fabbri, dei funai, dei conciatori e, naturalmente, la Torre dell’Orologio, che veglia sull’accesso principale. Le sue marionette mobili scandiscono i ritmi di questo paese colorato e vivace, dall’aspetto così ordinato che sembra quasi… tedesco.
Qui si trova la casa in cui pare sia nato Vlad nel 1431, mentre i genitori riparavano dall’invasione turca in Valacchia. Ma neanche la statua dai grandi e feroci occhi a lui dedicata, che si trova appena dietro la grande chiesa tardogotica del Monastero Domenicano, riesce a turbare l’atmosfera serena di questi vicoli. Forse abbiamo un solo brivido lungo la schiena mentre saliamo per la ripida e buia scala in legno coperta, detta Scala degli studiosi, costruita nel 1643 per permettere agli scolari di arrivare facilmente sulla collina anche quando la neve gelava tutte le strade.
In cima sorge la Chiesa sulla Collina, monumento sassone dedicato a San Nicola in uno stile gotico di sorprendente semplicità. Di fronte a essa si estende a perdita d’occhio, giù per i pendii, l’affascinante antico cimitero tedesco, le cui steli in pietra prese d’assalto dal muschio ci accompagnano in una passeggiata tra le vite anonime che hanno speso la loro esistenza a Sighișoara.
Di cimiteri e suggestioni goticheggianti ne avremo a sufficienza in Transilvania: ripartiamo. E mente il buio cala sui Carpazi, ci avviciniamo a Bran, minuscolo centro avviluppato attorno al maniero che ha ispirato Bram Stoker per l’ambientazione di Dracula. Costruito dai Cavalieri Teutonici nel XIII secolo, il castello conobbe vicissitudini alterne nel corso del tempo, fino a passare nel 1920 nelle mani della regina Maria di Romania, che lo ristrutturò nella moda dell’epoca per farne una dimora estiva dei sovrani. Ma allo scoppio della guerra le vacanze finirono e sua figlia Ileana lo trasformò in un ospedale militare. Non godettero un dopoguerra facile, né la Romania né il Castello di Bran: nel 1948 quest’ultimo fu occupato dalle armate comuniste e solo nel 2006 è stato restituito agli eredi della principessa Ileana, divenendo il parco giochi per turisti da consumo rapido che è oggi. Ci dispiace un po’ nuotare nella folla avida di una storia di vampiri preconfezionata, ma pazienza: sempre con la nostra fantasia possiamo tornare a quel lontano inverno in cui la neve era bagnata di sangue che avevamo interrotto a Bârsana… E allora i Carpazi, che un attimo fa sembravano delle vette abbastanza addomesticate, diventano impervi e inarrivabili; le mura in pietra tornano muti custodi di intrighi e passioni violente; la fiera di souvenir e citazionismo approssimativo si rivela un teatro della varietà umana più insolita e autentica della Romania.
C’è per esempio l’attempata commessa di una bancarella, peraltro non sua, che ogniqualvolta si imbatte in creature di luce, ovverosia in turisti con infarinatura di inglese ed espressione meno truce rispetto alla media degli ultrà del vampirismo usa e getta, comincia a rivelare la Verità. Ci avviciniamo luminosi. Lei liquida con sufficienza due ungheresi interessati a cappelli di paglia e dice che se noi siamo venuti a Bran dev’esserci un motivo più profondo del fotografare canini insanguinati di celluloide. Non possiamo non concordare e rompiamo il ghiaccio chiedendole come mai parla tanto bene inglese. La signora ha fatto la violinista sulle navi da crociera.
Finiti i convenevoli, mani sui fianchi, spiega. Non tutti sanno che i Carpazi sono un drago: bene, prendete una cartina fisica, vedete le ali, le zampe, il muso, no? Ma certo, naturale, lapalissiano. Mentre l’Europa, se girata di novanta gradi, rappresenta l’Anthropos primordiale da cui i Pleiadiani, gli alieni buoni che vengono dalle Pleiadi, hanno sbozzato l’immagine della specie umana prima di produrre tramite reazioni da laboratorio la brodaglia da cui è sorta la vita terrena. Chiaro, le dico, anzi fin troppo prevedibile, ora che mi ci fa pensare.
Dunque per un numero di millenni che adesso lei non sta proprio lì a precisare umani e Pleiadiani se la sono spassata a braccetto tra inaugurazioni di grattacieli ad Atlantide e feste del raccolto marziano, scavando stanze di proiezione interdimensionale sotto sfingi neolitiche e facendo gran scorpacciate di oro monoatomico, sostanza presente nell’aria e nel suolo della Romania, dove i nostri amici extraterrestri avevano il loro pied-à-terre: Agartha. Ed è grazie alla particolare diffusione di tale oro che il suolo locale è così fertile, tu butti due semi e ti vien su una foresta doc.
Poi arrivò il Male, cioè gli Asburgo, dietro cui si cela il ghigno composito di mille Spectre iudo-pluto-massoniche, a cui non piace la concordia intergalattica ma soltanto la sofferenza universale. Il che spiega come mai la Romania sia povera: i discendenti degli Asburgo comprano tutto, anche il castello di Dracula a Bran, fanno pagare il biglietto ai turisti e invece di darsi alla bella vita con gli introiti vivono in stalle immonde di tre metri quadrati, del resto ben pasciuti dal dolore cosmico aleggiante. A ciò va aggiunta l’ingerenza della Chiesa cattolica, la quale, forte di un millenario inciucio con alieni malvagi di varie fogge, Rettiliani in testa, era riuscita già a metà Ottocento ad accaparrarsi un arsenale atomico con cui scatenare il terremoto del 1850. Ed è stato ovviamente il Papa a ordinare a Bram Stoker di scrivere un libro che screditasse la Romania, antica culla del programma di scambio interculturale Pleiadi-Agartha. Al lettore evoluto non sfuggirà la semi-omonimia tra scrittore e cittadina.
Ma l’importante è tenere il terzo occhio aperto. Noi le sembriamo già sulla buona strada.
Prologo. Barză, brânză, varză, viezure, mânz
Capitolo 1. Timișoara di bellezze scrostate
Capitolo 2. Hunedoara: un antipasto di Dracula
Capitolo 3. Maramureş, dove la terra è di legno
Capitolo 4. Transilvania: vampiri di gomma, alieni di luce