Capitolo 2
di Ilaria Iannuzzi
Destinazione: Hoteni, nel distretto di Maramureș. Impostiamo il navigatore, ignorando che presto GPS e asfalto liscio resteranno solo ricordi. Ciò di cui ci rendiamo conto subito, invece, è che in mancanza di lunghi tratti di autostrada il viaggio sarà faticoso: meglio stabilire una sosta intermedia. Ecco allora che sul navigatore compare una nuova destinazione: Hunedoara, la nostra prima breve incursione in Transilvania. E, di conseguenza, è un castello che andiamo cercando.
Nella storia del Castello Hunyad Vlad III c’entra di sicuro (pare che ovunque svetti un torrione gotico in Romania il fantasma di Dracula non possa mancare) ma non nella parte di protagonista. Il maniero è legato invece al suo alleato e rivale, il re d’Ungheria e Croazia Mattia Corvino.
Figlio del Voivoda di Transilvania János Hunyadi, con gli appoggi giusti nel 1458 Mátyás, giovanissimo, si fa eleggere re d’Ungheria. Ci mette poco a farsi amare dal popolo, che lo venera come un paladino impegnato un giorno a sventare le malefatte dei signorotti locali e un altro a collezionare libri di filosofia, teologia, storia, diritto, letteratura, scienze per costruire a Buda la più grande biblioteca d’Europa dopo quella vaticana. Nell’impresa di introdurre la cultura rinascimentale in Ungheria, la sua giovane moglie napoletana Beatrice d’Aragona è al suo fianco: è lei a richiamare a corte lo studioso Antonio Bonfini, il quale, scorgendo nel corvo sullo stemma degli Hunyadi un segno lampante che la famiglia discenda nientedimeno dall’antica gens romana Corvia, ribattezza il sovrano col nome latineggiante di Mattia Corvino.
Ma l’Ungheria non può bearsi di vivere un idillio neoplatonico, giacché ci sono i turchi alle porte e bisogna pur fargli guerra. Ed è qui che entra in scena Vlad Dracul, come feroce alleato contro gli ottomani. Un’alleanza preziosa, visto che l’incursione turca in Boemia è presto scongiurata, ma che ha qualcosa di imbarazzante: il voivoda di Valacchia ha certe cattive abitudini che gli sono costate il soprannome di Impalatore. E va bene che quello che accade in Transilvania rimane in Transilvania, ma solo finché a finire infilzati come spiedini sono i mori (e qualche ladro, qualche criminale, qualche adultera…). Se però sul palo ci finiscono anche i mercanti sassoni, allora no, questo Mattia non può sopportarlo. Insomma, c’è da tenersi in buoni rapporti con l’Imperatore tedesco e nel 1462 a Mattia non resta altra scelta che invadere la Valacchia per catturare Vlad e tenerlo prigioniero per alcuni anni – si dice – proprio nel Castello Hunyad.
Costruito dal padre János in stile gotico, Mattia ne avviò una splendida seconda fase edilizia in stile rinascimentale. Ampliamenti e rifacimenti – ma anche continue parziali distruzioni – si susseguirono nel XVII secolo, durante il regno di Gabriele Bethlen, e nel XIX. E durante tutti questi anni i suoi stretti corridoi di pietra, le ampie sale dalle volte a crociera, i loggiati e le merlature si sono riempiti sempre più di fantasmi e misteriose leggende.
Ma è già tempo di riprendere il viaggio. Appena fuori Hunedoara strane ville dai colori sgargianti e pagode orientali di latta scintillante sui tetti ci accerchiano con la loro esuberanza, facendoci venire il dubbio di essere capitati nel mondo di Oz. Invece, siamo solo in un sobborgo colonizzato dai rom – e un paio di ragazzini sfilando in Mercedes ci lanciano uno sguardo per ribadirci: «Questo è il nostro regno». D’accordo, filiamo via, scivolando sulle stradine di campagna verso l’estremo nord.
Una prima cicogna in volo annuncia che siamo quasi arrivati in quella straordinaria terra antica e remota. Barză, brânză… ecco che comincia a risuonare l’eco della Romania più profonda.
Prologo. Barză, brânză, varză, viezure, mânz
Capitolo 1. Timișoara di bellezze scrostate
Capitolo 2. Hunedoara: un antipasto di Dracula
Capitolo 3. Maramureş, dove la terra è di legno
Capitolo 4. Transilvania: vampiri di gomma, alieni di luce
Epilogo. Bucura, bucurie, București