Bucura, bucurie, București
di Ilaria Iannuzzi
«Bucură-te», cantano all’infinito durante una messa qualsiasi in una chiesa qualsiasi. Ascoltiamo ipnotizzati questa parola misteriosa, per forza dacica. Deve avere a che fare con qualcosa di molto importante, qualcosa che compendia tutte le credenze più profonde dei rumeni, che si annida perfino nel nome della loro immensa e indicibile capitale. Qualcosa che proviamo a Râșnov, quando durante la nostra ultima notte in Transilvania ci arrampichiamo sulla collina, per sdraiarci sull’erba troppo alta e pungente che ammanta i ruderi della fortezza e nessun sorvegliante ci impedisce di starcene lì a guardare la luna. Godere, dare gioia, possedere, essere felici. L’ultima nota che sentiamo del mantra dacico.
Prologo. Barză, brânză, varză, viezure, mânz
Capitolo 1. Timișoara di bellezze scrostate
Capitolo 2. Hunedoara: un antipasto di Dracula
Capitolo 3. Maramureş, dove la terra è di legno
Capitolo 4. Transilvania: vampiri di gomma, alieni di luce
Epilogo. Bucura, bucurie, București